
Don Claudio Burgio, fondatore della Comunità Kayros di Vimodrone (Milano), che da 25 anni ospita minorenni e giovani maggiorenni con procedimenti penali - foto Imagoeconomica
C’è il linguaggio della burocrazia. E ci sono le parole e i gesti che parlano di vita. Di vita accolta e salvata. E resa capace di donarsi. E di salvarne altre. Lo sa bene Lamine: che ha lasciato il suo Senegal, affamato di futuro, assetato di dignità, quando aveva appena tredici anni. Mali, Burkina Faso, Niger, le prime tappe del suo esodo. Che ha toccato l’inferno della Libia, dove è stato ridotto in schiavitù. «Se non l’ha vissuta, come ho fatto io per due anni, non sai cosa sia davvero», racconta. Anche nel suo esodo, un mare da affrontare per fuggire l’oppressore: è il Mediterraneo. La traversata su un barcone, l’approdo in Italia. Uno dei tanti «minori stranieri non accompagnati», nel linguaggio della burocrazia. Una persona con un nome, una storia, un avvenire da costruire insieme, com’è nell’abbraccio della sua nuova famiglia, la Comunità Kayros di don Claudio Burgio, a Vimodrone. Un «eroe», come lo chiamano in questo popoloso borgo alle porte di Milano.
Il motivo? Lo spiega lui stesso. «Un giorno, andando al lavoro, sono passato davanti a una casa in fiamme. I soccorsi tardavano. C’era altra gente, in strada: tutti intenti a riprendere l’incendio col telefonino. Al secondo piano una persona chiedeva aiuto: io e un amico siamo saliti e abbiamo salvato quattro persone e un cane». Un gesto da eroe? «No, una cosa normale – risponde sorridendo –. Quando ero in mare, nel pericolo, sono stato salvato. Ora sento che tocca a me salvare altri».
Dal bene nasce altro bene. E non c’è modo migliore di questo, per rispondere all’aggressione del male. Ecco cosa dice la storia di Lamine. E lo stesso messaggio rilanciano le storie condivise lo scorso lunedì sera, 17 marzo, da alcuni ospiti di Kayros – comunità che da 25 anni accoglie minorenni e giovani maggiorenni con procedimenti penali. Ad ascoltarli, l’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, e gli adolescenti di alcuni oratori di Milano, di Sesto San Giovanni e di Lainate. L’incontro svoltosi nella sede di Kayros è parte di un’iniziativa intitolata “L’arcivescovo vi invita” che in questo Giubileo 2025 chiama i ragazzi a farsi “pellegrini di speranza” recandosi, assieme a Delpini, in sette luoghi emblematici, ciascuno dei quali “casa” e simbolo di un’opera di misericordia corporale.
L’opera suggerita dall’incontro di Vimodrone? Visitare i carcerati. E, in realtà, lasciarsi visitare da questi ragazzi che hanno conosciuto il carcere. E dalle loro storie di dolore, errori, speranza. Storie come quella di Daniel Zaccaro, che in Kayros è rinato, fino a laurearsi e diventare educatore. O come quella di Bilal, 18 anni, che ha lasciato il Marocco quattordicenne, una vita in fuga tra furti e consumo di droga, dalla Spagna alla Francia, all’Olanda, all’Italia, fino a Kayros dove «ti senti libero e accolto – testimonia – con persone con cui vedi che è possibile costruire un futuro, mentre in altre comunità al primo sbaglio ti cacciano». «Se non mi aiutate voi, finisco in carcere o muoio», è il messaggio che Luca, pochi mesi fa, in un momento di crisi drammatica, mandò a Daniel. «Qui – racconta – ho trovato persone disposte ad aiutarmi e mi sono sentito voluto bene». Endryw, 19 anni, da due in Kayros, un primo segno di rinascita lo ha incontrato addirittura in carcere: «Lì ho conosciuto Bryan, anche lui ora a Kayros, e siamo diventati amici. Non avrei mai pensato che, condividendo lo stesso schifo e la stessa sofferenza, potesse nascere qualcosa di così bello».
«Kayros punta sulle relazioni, non sulle regole. Che vengono dopo e si fanno insieme – fa sintesi Daniel –. Qui arrivano ragazzi affascinati dal male. Ma noi scommettiamo sul fatto che anche il bene sa affascinare». A raccontarsi sono pure i fondatori della comunità, Giusy Re («ho conosciuto tanti ragazzi e continuo a crescere con loro») e don Burgio, che è anche cappellano all’istituto penale per minorenni “Beccaria” di Milano («questa esperienza mi aiuta a essere un prete più credente, e mi riconcilia con i miei limiti»).
Una serata a cuore aperto e a carte scoperte. Come quando Willy chiede a Delpini: «Dio esiste? Come si fa a credere in lui, ad avere fede, dopo tutte le sfortune e le sofferenze che ci sono capitate?». La risposta dell’arcivescovo – accompagnato a Vimodrone da don Stefano Guidi, direttore della Fondazione oratori milanesi, e don Giuseppe Como, vicario episcopale – è un invito a liberarsi dall’immagine del «Dio tappabuchi, che ci salva prodigiosamente dai problemi». Piuttosto: «coltivate l’amicizia con Gesù». Che è il volto di un Dio «che ha preso la croce, che ci chiama a fare lo stesso, e ci vuole bene per quello che siamo». Con lui impariamo che «non ci si salva da soli, ma insieme». Come sanno bene Lamine e gli altri “pellegrini di speranza” in cammino con la Comunità Kayros.