giovedì 18 luglio 2024
Né in Chiesa né in Comune. L'ultima frontiera sono le nozze simboliche che non contano nulla ma sono molte scenografiche. Il teologo Marengo: scelta incompatibile con l'antropologia cristiana
Sontuoso, ecologico ma finto. Ecco come si svolge un matrimonio laico

Foto Icp

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Sarà capitato anche a voi - e se non è ancora successo vi accadrà sempre più spesso - di essere invitati a un “matrimonio laico”. Si tratta dell’ultima tendenza delle nozze, è sempre più diffusa e attenzione: non ha niente a che fare con il rito civile.

Il matrimonio laico, infatti non ha alcuna valenza legale né tantomeno religiosa. È un atto simbolico e generalmente viene officiato da un amico degli sposi, in qualche caso un attore, ma esistono ormai addirittura delle figure professionali, con tanto di certificazione rilasciata da Federcelebranti.

A fare da scenario ai matrimoni laici sono cornici particolarmente suggestive: ville patrizie, spiagge al tramonto, boschi, giardini incantati e persino vigne.

Insomma il più classico matrimonio da favola che però, di fatto, è un matrimonio “finto”, visto che non c’è sacramento e nemmeno contratto, ma solo un’esternazione – e un’ostentazione – d’amore: una scatola vuota, una cerimonia sontuosa ed estremamente articolata nei suoi rituali, ma che non comporta alcun impegno esistenziale e nessuna alleanza formalizzata. Insomma è la festa senza il vincolo, la bomboniera senza confetti.

In qualche modo rappresenta la risposta a chi si sposava in chiesa solo per avere una bella scenografia alle spalle, perché la sala comunale – o addirittura l’ufficio dell’anagrafe – sarebbe stato troppo squallido. E non a caso molti Comuni mettono oggi a disposizione per le cerimonie degli edifici di culto sconsacrati, consentendo così di sposarsi in una chiesa ma con rito civile.

Lo sposalizio simbolico punta a scimmiottare il rituale religioso reinventandolo, con una cerimonia che può essere anche molto più lunga di una Messa, perché assegna maggiore spazio a testimoni, parenti e amici.

Al posto del parroco c’è il wedding planner, le pubblicazioni anziché in Chiesa e in Comune si fanno su Instagram e Tik Tok, e i corsi prematrimoniali sono sostituiti da siti web specializzati.

“Il matrimonio simbolico laico viene creato dagli sposi e ha lo scopo di rendere la cerimonia solo vostra, poiché racconta il vostro amore” spiega nel suo sito Federica Cosentino, che ha scritto una Guida completa alla cerimonia simbolica con 15 diversi tipi di rituali, e una Guida completa al matrimonio celtico.

“Nel giorno del vostro matrimonio – scrive - potete festeggiare scegliendo una cerimonia intessuta dei vostri valori e dei vostri ricordi. Il rito simbolico laico contiene i momenti più importanti della vostra vita insieme, le vostre battaglie vinte e creerà la magia che farà emozionare tutti”. “Racconteremo la vostra storia davanti ai vostri ospiti – aggiunge Cosentino - la natura sarà vostra testimone e gli alberi sosteranno la vostra promessa”.

Insomma un rito che punta a liberarsi da tutti in vincoli imposti dalla tradizione cattolica, ma poi va ineluttabilmente in cerca di altri, perché la solennità delle nozze ha bisogno di cerimoniali codificati, magari pescando da antiche tradizioni pagane.

La stessa Cosentino offre tre tipi di nozze: la cerimonia celtica, la cerimonia spirituale e la cerimonia simbolica: “Una volta che avrò redatto la bozza del testo e voi lo avrete sistemato nei punti che ritenete necessari, questo passerà nelle abili mani di un copywriter specializzato in scrittura per la voce, affinché possa compiere le sue magie di editing”.

La wedding planner mette a disposizione anche dei celebranti professionisti, oltre a curare la timeline della cerimonia: “Io e il mio team coordineremo i fornitori, gestiremo gli ospiti e cureremo le vostre entrate nel momento giusto. Gestiamo tutti i dettagli e la logistica per garantire un evento eseguito in modo impeccabile”.

La controindicazione di questa impeccabile organizzazione è che spesso l’invitato si trova a rivestire di fatto il ruolo di comparsa (non pagata - ma pagante) all’interno di un sontuoso spettacolo in cui tempistiche, movimenti e spostamenti sono regolati al dettaglio e la spontaneità diventa un optional.

Il campionario della cerimonia prevede rituali come la processione con lancio di petali sulla sposa, ostensione di palloncini con rilascio programmato, scambio delle rose, canzoni e infinite testimonianze di amici e parenti. E ancora l’handfasting - con le mani della coppia che vengono incrociate e legate insieme da nastri colorati - il rito della luce, con ognuno dei due sposi che regge una candela accesa per accenderne una più grande, il rito della sabbia, quello del vino, la pietra del giuramento, la semina dell’Albero della vita, la Scatola del tempo o gli anelli fatti passare per le mani di tutti gli invitati prima di arrivare alla coppia. Chi scrive ha assistito anche alla tradizionale firma dei documenti sentendosi dire poi, dal celebrante, che “era tutto finto”, finalizzato alle fotografie e a dare solennità al momento.

Cardine della cerimonia sono le “promesse di matrimonio” che gli sposi devono pronunciare e (teoricamente) scrivere da sé, liberi da formule standardizzate. Ovviamente, per chi ha poca fantasia, ce ne sono online già pronte e giusto appena un po’ retoriche: “Ricordo ancora il nostro primo incontro – recita una di quelle disponibili - quell’attimo magico in cui il destino ci ha intrecciati. Eravamo due estranei che condividevano sorrisi rubati, una conversazione che sembrava infinita e il palpito del cuore che ci ha annunciato che stavamo iniziando un viaggio straordinario insieme”.

Cosentino, che propone cerimonie intime ed ecosostenibili immersi in luoghi selvaggi e incontaminati scongiurando spreco alimentare e floreale, rivendica una profonda etica nel suo modo di lavorare; etica che, evidentemente, è a volte anch’essa un optional nell’organizzazione di questi eventi.

Le nozze simboliche rappresentano dunque un segno dei tempi che potrebbe essere visto anche come un ritorno alle origini, visto che il matrimonio nasce come “unione naturale” tra due persone e solo con il passare dei secoli viene istituzionalizzato dalla Chiesa e dalle autorità civili.

Nel nuovo numero di Anthropotes, la rivista del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II, dal titolo “Chiesa e famiglia in prospettiva storica”, Daniela Lombardi – docente di Storia moderna all’Università di Pisa – spiega come con il passare dei secoli abbiamo assistito ad un graduale processo di clericalizzazione del matrimonio: dagli antichi riti nuziali, che - non essendo un requisito per la validità del vincolo - potevano essere utilizzati con grande flessibilità, al ruolo crescente della consumazione dell’atto sessuale, che insieme al consenso degli sposi diventa fondamentale per la validità del matrimonio.

Anche Lutero, spiega la storica, ha fatto la sua parte: “Fu lui a sottoporre il matrimonio a regole, controlli, registrazioni che rendessero più facilmente distinguibile la condizione di coniugato da quella di celibe. Il risultato fu un cambiamento radicale: oltre a imporre una cerimonia pubblica e solenne alle nozze, espunse il matrimonio dal novero dei sacramenti e lo sottopose alla giurisdizione secolare”.

È poi il Concilio di Trento ad attribuire definitivamente un ruolo primario alla Chiesa: “Nelle mani del parroco si venivano a concentrare una serie di compiti che, col tempo, fecero di lui la figura centrale delle varie tappe che costituivano la formazione del matrimonio: dai primi contatti coi futuri sposi, finalizzati ad accertare la loro libera volontà e i requisiti di età e di stato libero, alle pubblicazioni da esporre durante la messa per tre giorni festivi consecutivi, fino alle parole da pronunciare nel momento centrale del rito”.

“La storia - aggiunge Lombardi - ci mostra rotture e continuità, non modelli immutabili. Il modo di fare famiglia non solo è cambiato nel tempo e nello spazio, ma ha sempre presentato una molteplicità di situazioni – convivenze, bigamia, unioni omosessuali, legami d’amore, matrimoni imposti – che rivelano la capacità di adattamento alle esigenze e alla sensibilità degli individui, delle parentele, delle comunità, delle istituzioni”.

La cerimonia simbolica, però, più che un ritorno alle origini appare come una resa definitiva del concetto di famiglia all’era del consumismo. Il matrimonio nasce infatti essenzialmente come un’alleanza tra le famiglie e il progressivo protagonismo della Chiesa, spiega Lombardi, serviva proprio a marginalizzare il ruolo dei genitori per scongiurare matrimoni forzati. Nell’era dell’individualismo sfrenato, lo sposalizio laico appare – al contrario - come la celebrazione del narcisismo e di uno stucchevole sentimentalismo.

Non a caso, la più celebre coppia di innamorati della storia della letteratura, ovvero Romeo e Giulietta, si era sposata in gran segreto e con la complicità di un prete, mentre il matrimonio laico è un atto pubblico privo di garante, che spesso si risolve in uno spettacolo magniloquente ma fine a sé stesso. La stessa Cosentino sottolinea che “il rito laico non deve per forza sopperire alla mancanza della religiosità con lo sfarzo ostentato e lo spreco”, testimoniando quanto proprio lo sfarzo venga percepito dagli aspiranti sposi come un elemento irrinunciabile.

Sotto questo profilo, il rito simbolico è però perfettamente coerente con l’ormai consolidata idea delle nozze come festa indimenticabile e non come inizio di un percorso di condivisione.

Di fatto sembra compiersi il passaggio secolare del matrimonio, trasformatosi dall’impegno senza amore all’amore senza impegno.

Oggi ci si sposa, fondamentalmente, per vivere un momento da sogno - molto lontano dalla quotidianità del rapporto coniugale - in cui ci si possa sentire dei principi per un giorno, assecondando così, peraltro, i peggiori luoghi comuni: “Quale è stato il giorno più felice della tua vita? – recita una barzelletta – “Il giorno del matrimonio”. E quello più brutto? – Tutti quelli che sono venuti dopo!”.

Alessandro D’Alatri raccontava che l’idea del film Casomai gli era venuta perché un suo amico si era sposato a luglio e separato a settembre: “C’è una gran quantità di divorzi di gente che non è sposata nemmeno da sei mesi. Il problema è che si tratta di un rito di passaggio riportato però alla banalità del consumo. Come può durare, allora, una cosa del genere?”. “Gli amici – continuava il regista – ti dicono che sei ingrassato, che devi volerti più bene, e ti chiedono se sei felice, minando le tue sicurezze. Ho intervistato 150 coppie che si erano separate, e nel 99% dei casi i due si dividevano per cause futili: lei voleva andare in vacanza al mare e lui in montagna, lui amava lo sci e lei la mountain bike. Erano gli hobby a dividere”.

Anche l’amore, oggi, sembra vittima un’obsolescenza programmata: “La verità – concludeva – è che due persone che stanno insieme devono affrontare una strada difficilissima e in solitudine. La volontà è l’unica cosa che mantiene davvero unita la coppia. Non si rottama l’amore”.

“In una temperie culturale che si può rappresentare come “post-romantica” – commenta Gilfredo Marengo, vicepreside dell’Istituto Jp2 e direttore editoriale di Anthropotes - l’amore è una utopia che non deve essere calata e giustificata “dall’alto” e predicata dal pulpito, ma che dispiega piuttosto il suo carattere di obbligatorietà “dal basso”, con la violenza e la durata degli impulsi sessuali. Mentre la fede - che non viene più insegnata – tramonta, l’amore è una “religione” senza Chiesa e senza sacerdoti, la cui stabilità è tanto sicura quanto la forza di gravità di una sessualità liberata dalla tradizione”. “Con il recedere di diritto, Chiesa, morale e Stato – continua Marengo - l’amore abbandona persino le sue tramandate norme e i suoi codici generali vincolanti, e diventa una faccenda dell’individuo e una sua decisione”.

“Una tale rivendicazione dell’assolutezza dell’amore – prosegue - ne denuncia una comprensione che ben difficilmente può accordarsi con l’antropologia cristiana, dal momento che è totalmente incardinata sulla pretesa del soggetto a conquistare la conferma della propria identità personale e una stabilizzazione emotiva, nella ricerca di una piena soddisfazione del proprio desiderio”.

“Per questi motivi – conclude il teologo - è legittimo sollevare il dubbio che la pur doverosa valorizzazione dell’esperienza dell’amore umano possa rappresentare, da sola, un terreno comune, favorevole a stabilire un dialogo capace di intercettare universalmente gli uomini del nostro tempo e i loro vissuti affettivi”.

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