L’identità di genere? Qualcosa di perfettamente sconosciuto per un terzo degli adolescenti. Soltanto uno su dieci ritiene di conoscere bene il significato della parola. All’interno di quei due terzi che conosce a grandi linee la questione – di cui ammettono i ragazzi si sente spesso parlare ma di cui si conosce poco e male – il 40 per cento riferisce di aver avuto spiegazioni dagli insegnanti o dai coetanei, mentre il 55 per cento l’ha imparato, si fa per dire, dai social. Meno significativo, come fonte di informazione, il ruolo dei media tradizionale (30%) e addirittura residuale, quello di consultori, psicologi e vari esperti (4%). E la famiglia? Non pervenuta, purtroppo. È quanto emerge da una ricerca su “Identità di genere tra libertà e limiti” realizzata dalla Fondazione don Silvano Caccia – che riunisce anche i consultori Felceaf di Erba, Cantù, Lecco e Merate - e dall’Università Cattolica nei territori di Monza, Como e Lecco.
Un lavoro articolato in due fasi, la prima costituita da 20 interviste in profondità – circa 60 minuiti ciascuna - raccolte tra gennaio e marzo 2024, la seconda con un questionario di circa 45 domande a cui hanno risposto 550 adolescenti dai 14 ai 19 anni di varia estrazione familiare e sociale e appartenenti a contesti scolastici o associativi del territorio (467 sono state le risposte complete). Che cosa è emerso? Tra coloro che più o meno comprendono di che cosa si sta parlando, l’81% ritiene che sia giusto vivere liberamente la propria identità di genere. E, questa libertà, significa per loro non essere giudicati dagli altri (67%), sentirsi liberi di esplorare (49%), fare ciò che si vuole (26%) e poter cambiare nel tempo (20%). Sottolineatura, quest’ultima, rivelatrice della confusione che regna sul tema. Anche perché, quando ascoltati in modo più specifico, con domande dirette dell’intervistatore, emergono opinioni che finiscono per rendere più complesso il quadro e meno lineare la valutazione sul concetto di libertà e di apertura mentale relativa all’orientamento sessuale. Il 39% rivela che “vorrebbe avere solo amici eterosessuali”, il 31% si dice convinto che “alle donne devono piacere gli uomini e agli uomini devono piacere le donne”, sintesi un po’ brutale che rivela però una domanda di chiarezza e di riferimenti sicuri, forse più per l’incapacità di affrontare in modo consapevole una questione così complessa, che per mancanza di sensibilità e di attenzione.
«Non si sa più cosa fare e cosa dire Hai sempre paura di sbagliare»
Accanto alla reazione più immediata e anche maggiormente segnata dal “culturalmente corretto”, secondo cui “ognuno può fare quello che gli pare e dev’essere aiutato a fare quello che gli pare”, emerge una narrazione più inaspettata, che mostra tanti adolescenti abitati da paure e da incertezze, ma anche dal desiderio di essere aiutati a capire, al di là delle posizioni tagliate in modo più netto dagli slogan degli schieramenti opposti. Una ragazza di 17 anni, per esempio, rivela: “non si sa più cosa fare e cosa dire, hai sempre paura di sbagliare”. E uno studente 18enne, riferendo l’atteggiamento colto in alcuni coetanei, riferisce a proposito dei problemi relativi all’identità di genere, che “molti stanno prendendo un po’ sottogamba. Cioè, ho visto un po’ di persone andare in quella direzione, ma non ci credevano fino in fondo… E alla fine poi è un po’ come se tutti i nodi siano venuti al pettine”. Come a dire che, quando si è chiamati ad affrontare una questione relativa alla propria identità, non si può scherzare e occorre valutare bene ogni decisione.
Tra gli intervistati c’è naturalmente anche chi rivela di vivere con difficoltà la formazione della propria identità di genere. Un 7 per cento dei ragazzi – circa 40 casi sul totale del campione – racconta di non identificarsi pienamente con il proprio sesso biologico. Si tratta di una percentuale che appare inferiore rispetto ad altre stime ma che – secondo gli estensori della ricerca – merita comunque di essere approfondita. Gli adolescenti che manifestano una incongruenza di genere, senza voler attribuire alla valutazione alcun significato patologizzante, sono in maggioranza maschi, provengono da “famiglie di ceto medio- basso” mostrano maggiore difficoltà nella gestione delle relazioni rispetto ai coetanei, oltre ad essere meno presenti nelle attività extra-scolastiche, per esempio disertando in particolare gli sport di squadra. In questo senso il tema dei vissuti legati al proprio corpo e ai giudizi altrui, sottolineano i ricercatori, è centrale non solo per chi vive una situazione di disagio, ma più complessivamente per tutto il campione. I ragazzi che non si identificano con il proprio sesso biologico comprendono, nella maggior parte dei casi, di cosa stanno parlando, ma non sono interessati a farlo.
Chi ha raccontato i suoi problemi ha scelto come interlocutori amici (18%), fratelli e sorelle (13%), genitori (11%), insegnanti (8%). Solo il 6 per cento si è rivolto a uno psicologo, oppure a un altro specialista. Chi è riuscito ad aprire il cuore è però soddisfatto di averlo fatto in almeno 2 casi su 3. In generale per il 79% degli intervistati la questione dell’identità di genere – per quello che i ragazzi conoscono del problema – non suscita particolari ansie. Per il restante 21% emerge un atteggiamento di ansia e di confusione. Per quanto – come detto – coloro che dichiarano di non identificarsi con il proprio sesso biologico siano solo il 7 per cento. I ricercatori fanno notare anche come nella grande area dell’incertezza e della confusione, che tocca in qualche modo la maggior parte degli adolescenti, la tendenza a mettere in discussione la propria immagine, sia sul piano estetico, sia su quello della simpatia, dell’intelligenza, della popolarità, appaia una sensazione diffusa e contribuisca a generare una insicurezza generalizzata in cui il tema identità di genere si inserisce, senza particolari connotati, tra tutte le altre voci. Difficile a questo punto, si spiega ancora, concludere che il malessere legato all’identità di genere sia la causa scatenante di tutta una serie di altri disagi, oppure se vada inserito in un quadro più complessivo di difficoltà correlate alla fase di sviluppo adolescenziale nella società contemporanea.
Probabilmente – ed è una nostra considerazione – è possibile ipotizzare l’una e l’altra possibilità e solo una valutazione più attenta, promossa con il contributo di quegli specialisti che la maggioranza dei ragazzi dice di non aver mai consultato o di averlo fatto in modo marginale, potrebbe risultare decisivo per aiutare a fare chiarezza chi vive questo problema. Certo, poi la domanda sarà: quali sono e dove sono gli specialisti affidabili sulla questione? I consultori di ispirazione cristiana, da questo punto di vista, assicurano esperienza, competenze tecniche e capacità di non ideologizzare la questione. Perché su un tema così delicato i ragazzi, soprattutto quelli più fragili e più incerti, hanno la necessità di poter contare su esperti e, più in generale, su adulti affidabili e credibili. Da questo punto di vista, la ricerca ha indagato anche il rapporto tra ragazzi, genitori e insegnanti.
Solo uno su dieci l’ha raccontato ai genitori
E, come spiegano gli autori della ricerca, si tratta di un altro ambito con risultati in chiaroscuro. Se la famiglia rimane, come idea di fondo, un punto di riferimento importante, tanto che 8 ragazzi su 10 dichiarano di fidarsi dei genitori, è vero anche che solo uno su dieci ha parlato con loro dell’identità di genere. Meno confortante, ma altrettanto controverso, quanto emerso a proposito del rapporto con gli insegnanti. Sette ragazzi su dieci dichiarano di non aver con i docenti un rapporto di particolare fiducia. Stesso atteggiamento verso i compagni di classe. Eppure, tra i ragazzi per cui l’identità di genere rappresenta un problema, insegnanti e compagni di classe sono stati il riferimento più immediato. Tutto da indagare, e forse meritevole di un ulteriore approfondimento, il rapporto tra i ragazzi alle prese con l’incongruenza di genere e gli specialisti del settore, psicologo o consultori a cui, come detto, si sono rivolti solo 2 ragazzi su 10 tra quelli che vivono con difficoltà il rapporto con il proprio sesso biologico. Gli aiuti ricevuti, hanno raccontato gli intervistati, sono stati considerati insoddisfacenti senza però far emergere motivazioni più esplicite. Un aspetto, come detto, meritevole di un chiarimento.
Come andrebbero chiariti altri aspetti di cui i ricercatori si dicono del tutto consapevoli, a cominciare dallo sforzo di correlare, nella sofferenza generalizzata che sembra caratterizzare il mondo degli adolescenti, il tema specifico dell’identità di genere. Per farlo occorre che il mondo adulto – conclude la ricerca - apra nuovi spazi di condivisione, riflessione e formazione con l’obiettivo di inquadrare meglio una questione scomoda e complessa sia dal punto di vista educativo, sia da quello degli interventi professionali, senza pretesa “né di omologazione, né di contrapposizione”. Su questi temi, come più volte detto, gli approcci ideologici non servono né a chiarire né ad aiutare chi vive con fatica il proprio percorso identitario.