Coppie dell'Equipe Notre-Dame stamattina a Torino
Il vostro movimento testimonia che esiste una via possibile e gioiosa per le coppie: è la vita cristiana. Dove manca Cristo, manca ossigeno. Ed è per questo che voi curate con amore reciproco la dimensione spirituale: per il bisogno fondamentale di ogni coppia, di non guardarsi soltanto negli occhi, ma di guardare in alto, all’origine della vita e dell’amore”. Così l’arcivescovo di Torino, Roberto Repole, ha aperto ieri il XIII Incontro internazionale delle Equipe Notre Dame di fronte a circa 8mila equipiers (così si chiamano le persone che aderiscono all’Equipe Notre-Dame - End) tra coppie e sacerdoti, provenienti da 56 Paesi del mondo
“Qualcuno oggi sorride dell’antropologia cristiana sulla famiglia – ha proseguito Repole - quasi ci fosse un vantaggio a disgregare l’istituzione famigliare e a diffondere forme di vita meno stabili. La cultura del nostro tempo diffida dell’amore “per sempre”, ma alla fine questa cultura produce sterminate solitudini”. Si tratta di una questione che interroga da vicino anche le Equipes Notre Dame che, come tutti, osservano le trasformazioni di questi decenni.
“Nella seconda metà del Novecento è molto cambiata la temperatura della fede cristiana nella società civile ed è soprattutto su questo che dobbiamo interrogarci. Un tempo – ha osservato ancora l’arcivescovo di Torino - quando l’appartenenza alla Chiesa si dava quasi per scontata, c’era in alcuni gruppi di credenti l’abitudine di dedicare molto spazio alla discussione critica, anche rispetto alle modalità in cui vivere nella Chiesa. Passatemi l’espressione: la critica della Chiesa poteva diventare quasi una moda”.
E oggi? “C’è ancora bisogno di un approccio intelligente alla fede e alla appartenenza alla Chiesa, ma dobbiamo fare in modo – ha sollecitato Repole - che non sia vecchio e anacronistico. Oggi i giovani – quelli che si interrogano – chiedono soprattutto che li si aiuti a strutturare le ragioni della fede, a custodire la fede in un mondo in cui da cristiani si può essere minoritari, a coltivare una vita evangelica che resista alle idolatrie della cultura dominante. Potrebbe essere anche il mandato delle Equipes Notre Dame”.
Oggi il tema della giornata è la fragilità a partire da un brano del Vangelo di Emmaus (Luca, 24. 13-32): “Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?”. Dopo l’intervento di Marina Marcolini, docente all’Università di Udine, autrice di libri sulla spiritualità e di preghiera, che ha aiutato a declinare i versetti del Vangelo nell’esperienza di fede, sono intervenuti Thérèse e Antoine Leclerc, coppia di collegamento della Zona Europa Centrale – Medio Oriente, per poi lasciare spazio alla prima conferenza. Il cardinale José Tolentino de Mendonça, prefetto del dicastero vaticano per la Cultura e l’Educazione, ha messo a confronto l’“Eucarestia sorgente e culmine della vita cristiana” e la vita della coppia.
Ha ricordato le parole di padre Henry Caffarel, il fondatore delle Equipes Notre-Dame, sul tema - «Marito e moglie, voi che mangiate la carne di Cristo, che bevete il suo sangue, che vivete nella vostra anima e nel vostro corpo della vita di Cristo, che dimorate in Lui e Lui in voi, come potreste non amarvi di un amore diverso da quello degli altri uomini, di un amore risorto? Potete guardarvi l'un l'altro, condividere i vostri dolori e le vostre gioie, donarvi l'un l'altro con tutto il cuore, con tutto il corpo, aiutandosi vicendevolmente per tutta la vita, senza avere la percezione che state vivendo un grandissimo mistero?» - e ha messo in luce come papa Francesco nell'Esortazione Apostolica Amoris laetitia riprenda la questione, affermando che «il nutrimento dell’eucaristia è forza e stimolo per vivere ogni giorno l’alleanza matrimoniale» (n. 318).
Una questione che lo stesso Francesco ha ripreso lo scorso maggio, ricevendo i responsabili delle Équipes Notre-Dame: «Oggi si pensa che la buona riuscita di un matrimonio dipenda solo dalla forza di volontà delle persone. Non è così. Se fosse così sarebbe un peso, un giogo posto sulle spalle di due povere creature. Il matrimonio invece è un “passo a tre”, in cui la presenza di Cristo tra gli sposi rende possibile il cammino, e il giogo si trasforma in un gioco di sguardi: sguardo tra i due sposi, sguardo tra gli sposi e Cristo».
Tolentino ha poi spiegato che nell'Eucaristia «ci viene aperta la possibilità di partecipare misticamente a ciò che Cristo è. Gesù si è fatto uomo affinché l'uomo, tramite la sua morte e risurrezione, partecipasse a ciò che Cristo è». E questo lo si percepisce più nitidamente “nello spezzare il pane”, come testimoniano i discepoli di Emmaus. L’Eucaristia ci permette finalmente di capire: è l’istanza ermeneutica per eccellenza. Emmaus ci insegna che i nostri occhi sono chiusi fino ad arrivare allo “spezzare il pane”. Questa scoperta della portata soteriologica della figura di Cristo rappresenta, per ogni discepolo e ogni discepola di Gesù, il punto di partenza e l'orizzonte di un'esistenza rinnovata. L'eucaristia diventa per noi luogo dove gustare la salvezza».
Ma cosa significa “prendete, e mangiatene tutti”? «Sarebbe forse importante meditare sul significato antropologico di queste parole. Perché non di rado si sente dire, anche tra i cristiani – ha proseguito il prefetto del Dicastero per la cultura - che l'Eucaristia è un rituale difficile, troppo ripetitivo, con il quale fatichiamo a stabilire una relazione permanente e affettiva. Abbiamo coltivato la fame di tante cose secondarie e poi abbiamo talvolta lasciato indietro la fame, il bisogno di Eucaristia. Proviamo, per esempio, a meditare sul verbo “mangiare” e su come esso da sempre ci accompagna. Così antico, così necessario, così presente, così ricco di significato per la nostra vita. La relazione con il mondo l’abbiamo inaugurata con la nostra bocca. È stata la prima forma di comunicazione, la prima forma di inserimento in questa storia e anche la prima forma di amore. Pensiamo al verbo “mangiare” e a quanto abbiamo appreso di ciò che questo verbo rappresenta lungo tutta la nostra vita. Pensiamo alla quantità e alla qualità dei pasti che abbiamo preso nella nostra vita e a come, senza di essi, la nostra vita non sarebbe quella che è, o semplicemente non sarebbe affatto. In famiglia lo sappiamo bene. Perché ci sono dimensioni fondamentali della vita, della vita biologica ma anche di quella spirituale, della vita come progetto di esistenza, che di fatto ci raggiungono grazie al verbo “mangiare”».
A parere di Tolentino «tutte le vite rientrano nell'immagine quotidiana del pane che si spezza e si divide. Perché la vita è una cosa seminata, cresciuta, maturata, raccolta, triturata, impastata: è come pane. Perché noi non ci limitiamo a degustare e consumare il mondo: andiamo percependo dentro di noi che da parte sua anche il mondo, il tempo, ci consuma, ci logora, ci divora. Per ragioni buone o cattive che siano, nessuno resta intero. Noi siamo impasto che si spezza, mollica che si sbriciola, spessore che diminuisce, alimento che viene distribuito. La questione sta nel sapere con quale coscienza, con quale senso, noi viviamo questo ciclo inevitabile. Tutti ci consumiamo, è vero. Ma in quali commerci ci consumiamo? Tutti sentiamo che la vita si spezza e si divide. Ma come rendere questo fatto tragico una forma di affermazione feconda e piena della vita stessa? Per noi cristiani, l'Eucaristia è il luogo vitale della decisione su cosa fare della vita. Perché tutte le vite sono pane, sì, ma non tutte sono "eucaristificate", ossia configurate in Cristo e assunte, nella sua sequela, come offerta radicale di sé, come dono, dono vivo, come servizio di amore incondizionato».
Ecco perché è sbagliato parlare dell’Eucaristia come “manutenzione e routine”. È meraviglioso invece il fatto che Gesù – ha fatto notare il porporato - abbia scelto il pasto come grande sacramento della sua presenza in mezzo a no. «Una tavola aperta dove il pane è offerto per tutti e dove il vino, che è il suo sangue, è versato per tutti. Avrà capito l'Eucaristia un cristiano che non parta di qui per rischiare, per trasformare, per tentare qualcosa di diverso, per rendere il mondo differente e migliore? Potrà essere considerata vera devozione eucaristica una spiritualità fatta di manutenzione e routine? L'Eucaristia chiede di più a ognuno di noi. Ci chiede di essere... di diventare quello che noi siamo. Ci chiede di osare, di credere» (Lc 22,15).
Da qui l’esortazione rivolta direttamente dal cardinale Tolentino alle coppie dell’Equipe Notre-Dame: «L'Eucaristia è per donne e uomini che vanno a impegnarsi nel mondo, infiammati dalla carità di Dio, con l'audacia di costruire modelli alternativi, portando in cuore l'aspettativa di “nuovi cieli e nuova terra, nei quali abiti la giustizia”».