martedì 25 giugno 2024
Famiglie, aziende e istituzioni a confronto alla Conferenza internazionale di Parigi organizzata da Fosi. Rendere il web uno spazio più adatto ai minori? Più dialogo e anche qualche divieto
«Chiedete ai vostri figli cosa fanno online»
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La scommessa di rendere l’ambiente online più sicuro per i minori si può vincere soltanto con il contributo di tutti gli attori interessati: le aziende proprietarie dei principali servizi online e dei canali di comunicazione, i legislatori, le famiglie, e gli stessi ragazzi.

Un’occasione per assistere a un tentativo di mettere tutti intorno a un tavolo e delineare possibili soluzioni è stata la conferenza internazionale allestita a Parigi dallo statunitense Fosi (Family Online Safety Institute), organizzazione non profit attiva nel campo dell’informazione sugli aspetti educativi del digitale, della formazione dei genitori, e della pressione su politica e istituzioni pubbliche perché mettano in atto strategie efficaci di tutela dei minori online.

Nel board di Fosi siedono diverse tra le più grandi aziende informatiche, da Microsoft – nella cui sede parigina si svolgeva l’incontro – a Google, Amazon, TikTok, Snap, Roblox, Discord ed Epic Games – la produttrice di Fornite –, ma anche colossi dell’intrattenimento come Disney e Netflix, per citarne alcune tra le più note.

Obiettivo dell’incontro: individuare le sfide attuali poste dal digitale alle famiglie, che in dieci anni – da quando è stato organizzato il primo di questi meeting europei – sono profondamente cambiate, anche se, come ha ricordato Stephen Balkam, presidente di Fosi, i problemi più rilevanti restano ancora da risolvere: «Non dobbiamo lasciarci attrarre da soluzioni troppo facili – ha spiegato Balkam –. Abbiamo bisogno di più ricerche».

E l’impressione, assistendo alla giornata di Parigi (titolo: “A transatlantic dialogue”) è che i problemi siano davvero molto simili su entrambe le sponde dell’Oceano, con qualche spunto in più per risolverli, qua e là in Europa, in alcuni casi proprio grazie alla tecnologia.

Sul fronte delle famiglie è emersa con forza l’importanza di restituire fiducia ai genitori nella loro capacità di educare, diminuendo l’enfasi sulla tecnologia e riportandola sulla necessità di ascoltare i propri figli ma anche di stabilire alcune regole di base. Regole che, come già evidenziato in diverse occasioni analoghe, sono sorprendentemente gli stessi dirigenti delle aziende tecnologiche a seguire. Valiant Richey, responsabile globale outreach and partnership di TikTok, che si occupa della sicurezza online dei minori, ha spiegato che sua figlia di 14 anni ha accesso soltanto ad alcuni social e con precise limitazioni e ha l’assoluto divieto di portare lo smartphone in camera da letto, mentre la secondogenita, 12enne, non è sui social e la terza, di 9 anni, non possiede uno smartphone.

Altra idea ricorrente nei numerosi interventi del forum in terra francese, a fronte della necessità di porre limiti ai social, nessun limite al dialogo in famiglia, che va in ogni modo favorito. «Chiedete ai vostri figli della loro vita online», ha detto Elizabeth Milovidov, anima del sito Digitalparentingcoach, che offre risorse e consigli pratici sull’educazione al digitale. Si tratta di un dialogo peraltro desiderato e cercato dagli stessi adolescenti, come risulta da una ricerca di Microsoft, secondo la quale l’86% dei ragazzi tra i 9 e i 17 anni, su scala globale, vorrebbero un adulto che li ascoltasse e che fosse anche una guida al mondo online. Dalla stessa ricerca è risultato come in generale i genitori sottostimino l’esposizione al rischio dei minori online. Il tanto auspicato dialogo è però reso difficile dalle condizioni concrete di vita delle famiglie: «Andrebbe dato più tempo ai genitori, ma questo richiederebbe una revisione degli attuali equilibri tra vita personale e lavoro», ha detto Elizabeth Gosme, di Coface, organismo europeo che promuove politiche a sostegno delle famiglie.

A dare voce ai ragazzi hanno dichiarato di sentirsi impegnate le aziende: TikTok ha attivato nel marzo scorso uno Youth Council composto da 15 ragazzi tra i 15 e i 18 anni, provenienti da diversi Paesi, che dovrebbero suggerire al colosso cinese possibili cambiamenti da apportare ai propri servizi per renderli più adeguati al pubblico degli adolescenti. Anche l’Unione Europea ha attivato iniziative simili di consultazione dei più giovani a proposito dei servizi online.

Quanto alle tecnologie, appurato che i sistemi di parental control sono poco utilizzati (secondo una ricerca di YouGov in collaborazione con TikTok, in Italia li usa il 32% dei genitori), non mancano le proposte di soluzioni alternative. Interessante il servizo Amazon Kids (non disponibile in Italia), una rete chiusa (in termini tecnici si chiama walled garden, “giardino murato”) con siti selezionati come adatti per i minori, ma anche k-ID, un insieme di strumenti tecnologici a disposizione delle aziende per mettere a punto giochi e servizi online adatti ai minori, garantendo il rispetto di tutte le normative e le richieste relative alla sicurezza. L’obiettivo è perseguire lo standard di “safety by design” (ovvero la sicurezza per i minori presente già nel prodotto e non da impostare con un parental control), che da più parti si richiede e che sarebbe un aiuto significativo per i genitori.

E le regolamentazioni? Su questo aspetto l’Europa è certamente più avanti rispetto agli Stati Uniti, grazie all’entrata in vigore del Digital Services Act, che si rivolge direttamente alle industrie «consentendoci interventi come le indagini a carico di TikTok, Instagram e Facebook a proposito di tutela dei minori online, avviate di recente», ha spiegato Manuela Martra, Vice-capo unità del servizio “Accessibilità, multilinguismo e Internet più sicuro” della Commissione Europea. L’intento è applicare un modello del genere anche in altri Paesi, in modo da disporre di un panorama normativo coerente (ma si tratta di una meta purtroppo ancora lontana).

Non mancano però le testimonianze sulla poca attenzione – nei fatti – verso la tutela dei minori da parte delle piattaforme. Un caso eclatante è quello di Artuto Bejar, ex dirigente di Facebook, che a Parigi ha raccontato la sua storia. Ingegnere e responsabile di prodotto, fino al 2015 nell’azienda di Mark Zuckerberg e poi di nuovo dal 2019 al 2021, Bejar era incaricato di studiare strumenti per aiutare a migliorare l’esperienza online di bambini e adolescenti, aumentando la sicurezza e diminuendo i fenomeni di bullismo. Dopo una lunga fase di consultazione diretta con gruppi di adolescenti, Bejar aveva proposto una soluzione che dava ai ragazzi una grande possibilità d’intervento e di segnalazione di ciò che li metteva a disagio online, che nella maggior parte dei casi non era qualcosa di illegale ma piuttosto un atteggiamento di eccessiva confidenza che creava imbarazzo, o altre situazioni analoghe, difficilmente classificabili come illecite. Niente di tutto ciò è stato fatto: da lì la decisione di diffondere i documenti interni e portarli all’attenzione del Senato americano con una sua deposizione nel novembre 2023. Ora l’obiettivo ambizioso di Bejar è aiutare a costruire servizi online pensati per «rendere più facile il compito dei genitori e favorire una buona connessione tra adulti e ragazzi». Non possiamo che augurargli buon lavoro.

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