Davide Sassoli
La crisi da coronavirus sta facendo nascere un’Europa più forte e coraggiosa, non ci saranno passi indietro sul Piano di ripresa e il sovranismo ormai è fuori gioco. L’Italia, però, sappia usare le ingenti risorse a disposizione e attui le riforme. David Sassoli, presidente del Parlamento Europeo, vede in questo modo le prospettive dell’Unione, dopo tre duri mesi all’insegna del lockdown, ma anche dopo una raffica di iniziative dell’Unione Europea. Avvenire lo ha intervistato a pochi giorni dal Consiglio Europeo che discuterà del Piano di rilancio e del futuro bilancio Ue.
Presidente, siamo di fronte a un vero cambio di passo dell’Europa?
Ci sono tutte le premesse perché sia così, vedo una coscienza nuova. Si avverte la necessità di avere una risposta comune a fenomeni globali perché anche i Paesi che si ritengono più forti verrebbero travolti. Inoltre, si è affermata la consapevolezza che per promuovere i valori europei c’è bisogno di più politiche comuni. La Germania, che da luglio deterrà il semestre di presidenza Ue, lo ha ben capito.
Dunque la crisi del coronavirus sta portando a un’Europa più forte?
Lo abbiamo detto fin dal primo giorno: questa crisi o travolge l’Europa o la rende più forte, non può esserci una via di mezzo. E siccome la risposta europea è stata importante, siamo convinti che ne usciremo con una Unione più forte. È di buon auspicio che anche la cancelliera Angela Merkel, nei nostri colloqui in Parlamento, abbia parlato della necessità di dotare l’Ue di nuovi poteri, ad esempio sulla sanità e le migrazioni.
Già, ma intanto sul Piano di ripresa ci sono resistenze...
Una cosa è chiara: non si può tornare indietro dalla posizione che la presidente della Commissione, Ursula Von der Leyen, ha manifestato in Parlamento. Aggiungere ambizioni è utile, ridurle sarebbe intollerabile. Il Parlamento avrà l’ultima parola. Ma non dobbiamo scandalizzarci per il dibattito in corso: siamo alla vigilia di scelte storiche ed è normale che ogni Paese esprima i propri interessi. Non dobbiamo strozzare il dibattito, ma arricchirlo per arrivare a soluzioni condivise. Il Piano dovrà essere utile a Nord e Sud, all’Est e all’Ovest. Del resto, mi pare che le obiezioni di alcuni Paesi si stiano attenuando. Il Parlamento comunque dirà la sua anche su alcune linee di bilancio che non ci convincono.
Per esempio?
Vogliamo più coraggio perché nessuno resti indietro, perché Erasmus venga finanziato adeguatamente, perché tutti i bambini possiedano un computer, perché vi sia grande attenzione ai più deboli. Le Soir scriveva giorni fa che in Belgio vi saranno centomila persone in più a rischio fame. E lo stesso avviene in molti altri Paesi europei. Vogliamo un’Europa che rafforzi il suo modello sociale. In questi tre mesi abbiamo avuto la netta sensazione della differenza tra noi e il resto del mondo: da noi nessuno è rimasto senza cure, negli Usa chi perde lavoro perde anche l’assicurazione sanitaria.
È finito il capitolo dell’austerità?
Con l’annuncio del Piano di ripresa si è chiuso il ciclo dell’austerità e del rigore. Un’Europa che si indebita a vantaggio delle prossime generazioni rilancia se stessa. Non era mai accaduto in questi termini e con questa forza.
Parliamo del Mes. È vantaggioso per l’Italia?
L’Europa ha messo degli strumenti a disposizione degli Stati, nessuno è obbligato a usarli. La discussione deve essere molto più pragmatica di quel che è oggi in Italia: qual è il progetto per rafforzare la sanità pubblica? Ambulatori, nuovi ospedali, ricerca, attrezzature? Poi ti guardi intorno, vedi chi ti può dare i soldi al tasso migliore. Il Mes mette a disposizione fino a 37 miliardi, un’enormità per il sistema sanitario italiano, allo 0,1% di interessi e con scadenze di minimo dieci anni. Non ci sono condizioni capestro o Troika. Sono meravigliato di un dibattito che è solo italiano.
Eppure l’Italia resta il Paese più euroscettico...
Piuttosto che inseguire l’ultimo sondaggio il sistema italiano deve concentrarsi sulla formulazione di programmi e progetti, indicare come si vogliono impiegare le risorse senza perdere un euro e spiegare come si vuole allineare i propri obiettivi nazionali a quelli europei, come il Green Deal e la digitalizzazione. L’Italia ha un grande problema infrastrutturale, questa è l’occasione per mettere a fuoco le priorità, come il Corridoio adriatico o l’Alta velocità tra Venezia e Trieste. Siamo in una fase in cui ci sono risorse per investimenti ma in cambio serve responsabilità. Verso l’Italia c’è grande fiducia, che però va alimentata, ad esempio indicando un chiaro programma di robuste riforme strutturali.
La risposta forte dell’Europa indebolisce i sovranisti?
Il fenomeno sovranista è fuori gioco. L’Europa c’è, in questi mesi sono state fatte operazioni straordinarie, dalla sospensione del Patto di stabilità alla deroga sugli aiuti di Stato, al bazooka della Bce, alla proposta del Piano di rilancio. Nemmeno i sovranisti si salvano da soli, anche loro hanno bisogno di una risposta comune. L’unica sovranità che dobbiamo rafforzare è quella europea e per questo dobbiamo proteggerla da intrusioni: dalle fake news all’acquisto a prezzi di saldo del nostro patrimonio industriale.
Domanda di casa nostra: il suo nome continua a girare come prossimo candidato a sindaco di Roma.
L’ho detto e lo ripeto: amo molto la mia città ma l’ipotesi non esiste. Sono completamente concentrato su quello che sto facendo in Europa.