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La pandemia ha cambiato radicalmente il nostro modo di concepire il lavoro, portando alla luce problemi profondi che da tempo affliggono molti settori. In un nostro recente articolo accademico, abbiamo messo in evidenza le criticità delle culture lavorative basate sulle prestazioni, in particolare negli ambienti aziendali e accademici. Questo fenomeno non riguarda solo il mondo accademico, ma è una tendenza che colpisce vari settori, dove il successo si misura in base a quanto si riesce a produrre. Che si lavori in ufficio, in fabbrica o in ospedale, l’attenzione alla performance è spesso incessante. Questa “corsa alla produttività” è diventata la norma, e sebbene possa portare risultati a breve termine, avviene spesso a scapito del benessere dei dipendenti. In simili contesti, l’enfasi sulla produttività, sui risultati misurabili e sulla responsabilità può avere effetti negativi, come il burnout e una crescente alienazione.I dipendenti, sia nell’industria che nell’ambito accademico, sono spesso sottoposti a richieste eccessive a causa dell’idea del “lavoratore ideale”, cioè una persona che soddisfa criteri di alta performance senza tener conto delle responsabilità personali o di cura familiare.
Le donne, le persone con disabilità e i dipendenti appartenenti a gruppi sottorappresentati (minoranze etniche, persone intersezionali, ecc.) sono particolarmente penalizzati da questa mentalità, che rende più difficoltoso il progresso nelle loro carriere. Anche la libertà accademica viene compromessa quando i ricercatori sono sotto pressione per rispettare parametri di prestazione imposti dai ranking, che favoriscono una logica di mercato nell’istruzione superiore. La ricerca ossessiva di risultati quantificabili porta alla mercificazione della conoscenza, ostacolando il lavoro collaborativo e la ricerca di qualità.Durante la pandemia, queste criticità sono diventate ancora più evidenti. Molti lavoravano da casa, mentre si prendevano cura di figli o parenti anziani, e al contempo si pretendeva che mantenessero lo stesso livello di produttività di prima. Per molti, la linea tra lavoro e vita privata si è sfumata, e lo stress per cercare di “tenere il passo” ha avuto un impatto negativo sulla salute mentale e sulla vita familiare. Questo ha evidenziato un grave difetto nel nostro approccio al lavoro: non è sostenibile, soprattutto in situazioni di crisi come una pandemia globale.Di fronte a queste sfide, abbiamo sostenuto la necessità di mettere la cura al centro del nostro modo di lavorare. La nostra ricerca invoca un cambiamento culturale verso approcci gestionali più umani e incentrati sulla cura. Le organizzazioni possono migliorare il coinvolgimento dei dipendenti e le loro performance creando ambienti di lavoro che favoriscano il benessere personale e l’autonomia professionale.
Prendersi cura di sé e degli altri sul lavoro favorisce l’interdipendenza, consentendo a persone diverse di avere successo sia sul piano personale che professionale. Prendersi cura di noi stessi, delle nostre famiglie e dei nostri colleghi dovrebbe essere considerato altrettanto importante quanto raggiungere obiettivi lavorativi.Cosa significa questo in pratica? Significa creare luoghi di lavoro che favoriscano un sano equilibrio tra lavoro e vita privata, dove dedicare tempo alla famiglia o al proprio benessere non è visto come una debolezza, ma come un punto di forza. Significa riconoscere che ognuno ha esigenze diverse – sia che si tratti di gestire l’assistenza ai figli, affrontare problemi di salute o semplicemente prendersi del tempo per ricaricarsi – e fare spazio a queste necessità nella nostra vita lavorativa. Quando mettiamo la cura al centro, creiamo ambienti in cui le persone possono prosperare, sia a livello personale che professionale.Invece di misurare il successo esclusivamente in termini di produttività, possiamo ridefinire cosa significa avere successo sul lavoro. Il successo può riguardare anche il modo in cui ci supportiamo a vicenda, costruiamo relazioni solide con i colleghi e ci prendiamo cura delle nostre famiglie mentre gestiamo le nostre carriere. Una cultura lavorativa che valorizza la cura e la relazionalità porta a dipendenti più felici e coinvolti, con benefici sia per le persone che per le organizzazioni.Guardando al futuro del lavoro, immaginiamo luoghi in cui le persone siano valorizzate quanto le loro performance. Questo significa riconoscere le ingiustizie strutturali e le dinamiche di potere nelle culture basate sulla performance, promuovere la cura di sé e degli altri, e riconoscere che interagire con gli altri può arricchire le nostre vite e favorire l’inclusività. Adottando questo approccio, non solo rendiamo il lavoro più piacevole, ma costruiamo anche un modo di lavorare più equo e compassionevole, mettendo la cura e la relazionalità al centro del nostro impegno lavorativo.
Docente associato di Organizzazioni di Neoma Business School
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