Emergenza lavoro, sviluppo dell’economia civile e una politica in grado di dare al Paese leggi in armonia con la sua coscienza e la sua organizzazione sociale. Se il Cardinale Bagnasco nella prolusione ripete 11 volte la parola "vorremmo", chiedendo ai giovani e alle loro famiglie di non snobbare il lavoro manuale, al sindacato di agire per una difesa concreta della dignità del lavoro, alle banche e alle imprese di pensare socialmente, ai cittadini di considerare un peccato l’evasione fiscale, l’economista bolognese Stefano Zamagni prova a immaginare cosa cambierebbe traducendo queste idee in progetti.
Partiamo dal lavoro, professore. Come si può rivalutare il lavoro manuale come propone il Cardinale Bagnasco?Partiamo dai dati. Una ricerca del pedagogista Giuseppe Bertagna condotta sui giovani disoccupati europei spiegava quanti preferivano un’attività anche manuale al non fare niente. Solo il 5% dei giovani under 30 italiani era disposto ad "abbassarsi" a svolgere un’attività considerata poco dignitosa contro il 40% dei coetanei tedeschi e il 35% dei francesi.
Ebbene?Mi pare chiaro che dietro alla disoccupazione giovanile vi sia soprattutto un problema culturale che nazioni al nostro livello, ma più dinamiche, non hanno. La famiglia e la scuola da qualche decennio raccontano ai giovani che basta investire sul capitale umano, ovvero laurearsi, per avere diritto a un posto. Non è più così. Anche gli intellettuali, in particolare noi economisti, devono prendersi la loro responsabilità per avere taciuto. Da almeno 25 anni, da quando è iniziata la terza rivoluzione industriale, nessuno in Occidente ha più certezza del posto fisso. Ha ragione il Cardinale a sottolineare tanto l’emergenza occupazione, quanto la necessità del rilancio culturale ed etico del lavoro manuale. Personalmente, tradurrei questa riflessione del Presidente della Cei con una strategia di difesa forte da parte dei lavoratori, dei sindacati e delle imprese dell’attività lavorativa a scapito della difesa del posto fisso.
Che ritiene errata?Concettualmente sì. Inutile difendere un posto di lavoro improduttivo, spesso questa difesa dei sindacati avviene a scapito di altre persone, in genere giovani, che così non possono entrare nel mondo produttivo. La sfida, invece, sottolineata da uno dei "vorremmo" della prolusione, sta nel difendere il diritto di svolgere un’attività lavorativa che dia reddito e dignità alla persona.
Ma c’è lavoro per tutti?No, è un’illusione. Ma l’attività lavorativa in Italia si può espandere in due modi. Primo, avvicinando i giovani all’artigianato. Non pretendo che da un momento all’altro i ragazzi italiani sostituiscano le 900 mila badanti straniere che assistono anziani e malati e le decine di migliaia di immigrati che raccolgono pomodori e olive nelle campagne. Ma non capisco come mai non si riesca a trovare un artigiano sotto i 29 anni. Stiamo perdendo un patrimonio prezioso e sottovalutato che combina manualità, sapere e tecnologia.
L’altro mezzo per ampliare l’occupazione?Crearla fuori dalle imprese capitalistiche. Il capitalismo in Italia può assorbire il 75-80% della forza lavoro. Quindi, o ci teniamo un quinto di disoccupati o diamo ali alle cooperative e alle imprese sociali, all’economia civile. Il terzo settore in Italia ha fatto grandi cose, ma è debole. Se la politica applicasse il principio di sussidiarietà, che è nel dna degli italiani da secoli, si potrebbe dare lavoro a molte più persone.
Nei "vorremmo" espressi dal Presidente della Cei, si auspica che l’evasione fiscale venga considerata un peccato...È un richiamo alla buona politica che agisce per il bene comune. Il problema è l’affermarsi di quella che gli americani chiamano "private policy", che in Italia suona "politica per interessi particolari". È una interpretazione oligarchica della democrazia, chi vince difende gli interessi di chi lo ha eletto. Ma chi governa, per la Dottrina sociale della Chiesa, deve guardare al bene della comunità. Non a caso il Cardinale nella prolusione si preoccupa dei giovani, insofferenti verso politiche particolaristiche. Che producono leggi carenti.
Perché?Abbiamo norme ineccepibili formalmente, ma inespressive. Per essere espressive, dovrebbero rispettare la nostra coscienza morale e sociale, che resta fortemente cattolica.