Luigi Di Maio e Mike Pompeo bevono una birra a Villa Madama durante la visita italiana del Segretario stato americano (foto Ansa)
Adesso tocca al governo lavorare di diplomazia per evitare che gli Stati Uniti mettano dazi sui prodotti italiani. E lo può fare subito, approfittando della visita italiana del segretario di Stato Mike Pompeo. Come era stato anticipato nelle scorse settimane, l’Organizzazione mondiale del Commercio (Wto) ha autorizzato Washington a imporre tasse sulle importazioni di merci europee fino a un massimo di 7,5 miliardi di euro all’anno.
La decisione dell’arbitro della Wto chiude, dopo quattordici anni, il caso dei 22 miliardi di euro di sussidi che Germania, Francia, Regno Unito e Spagna hanno concesso al consorzio Airbus per spingere le vendite dei grandi aerei A350 e degli A380. Secondo le regole del commercio internazionale quei sussidi sono aiuto di Stato illeciti e per questo gli Usa, che si sono mossi per difendere Boeing, si sono rivolti alla Wto. A sua volta l’Europa ha fatto ricorso alla Wto per i sussidi che il governo americano ha garantito a Boeing per i suoi 777X e una decisione finale su questa causa è attesa per l’anno prossimo.
Nel frattempo Donald Trump può scegliere su quali prodotti europei rifarsi. Nelle due liste presentate nei mesi scorsi dal Rappresentante americano per il Commercio ci sono complessivamente più di 400 prodotti per un valore annuo di 25 miliardi di euro di export europeo in America. Washington ha molto margine, in teoria, per colpire le merci europee più legate allo scontro Airbus-Boeing, e quindi imporre dazi su tutto quanto collegato al settore dell’aviazione civile, in particolare se prodotto dai Paesi del consorzio Airbus (di cui l’Italia non fa parte).
Però nulla impedisce al presidente americano di sfruttare l’occasione che gli è stata data dal Wto per colpire con i dazi i governi europei con i quali i rapporti sono peggiori. Da questo punto di vista l’Italia parte in una posizione di vantaggio. Nonostante l’ingresso nel progetto egemonico cinese della Nuova via della Seta abbia sollevato pubblicamente le proteste di Washington, l’esecutivo di Giuseppe Conte – anche quello nuovo, senza Matteo Salvini – è più apprezzato da Trump rispetto ai governi di Angela Merkel e Emmanuel Macron, che su diversi fronti di politica internazionale hanno posizioni opposte a quelle del presidente americano. Quindi le nostre eccellenze incluse nelle liste americane, compresi il vino, la moda e i formaggi, potrebbero essere più “al sicuro” rispetto a merci di altri Paesi europei. «Confidiamo di poter ricevere attenzione dal nostro tradizionale alleato su quelle che sono alcune nostre produzioni strategiche» ha detto Conte dopo il verdetto della Wto. Nelle prossime settimane, però, ogni governo europea userà le sue abilità diplomatiche per proteggersi dai dazi.
Le stime dei possibili danni per l'industria italiana sono varie. Federalimentare, l'associazione delle imprese del settore, parla di 650 milioni di euro di mancato export se Trump imporrà dazi al 30% del valore dei prodotti. Se i dazi arrivassero invece al 100% l'export alimentare crollerebbe di 2 miliardi. Coldiretti vede invece il rischio di un miliardo di euro di mancato export.
Bruxelles spera di convincere Trump a non andare avanti. Cecilia Malmström, commissario europeo al Commercio, ha avvertito che se gli Usa imporranno i dazi l’Europa farà altrettanto quando otterrà l’autorizzazione dalla Wto, quindi ha concluso spiegando che non è questo l’esito che si augura Bruxelles: «La reciproca imposizione di contromisure non farà altro che danneggiare le imprese e i cittadini su entrambe le sponde dell'Atlantico, provocando danni al commercio globale e all'industria aeronautica in un periodo delicato». Dal 1° novembre, con l’insediamento della nuova Commissione, sarà l’irlandese Phil Hogan a prendere il portafoglio del Commercio europeo. L’organizzazione Business Europe, che mette assieme le associazioni industriali europee, ha invitato la prossima Commissione a «resettare le relazioni transatlantiche» rafforzando i legami con gli Stati Uniti. Perché i dazi «rischiano seriamente di minare il rapporto bilaterale più forte e più vantaggioso del mondo».
I movimenti delle Borse confermano che gli investitori si aspettano che questo clima da guerra commerciale colpirà gli utili delle aziende quotate. Le vendite sono pesanti dovunque, Milano ha perso quasi il 3%, Wall Street è sotto dell’1,8%. A conferma che la guerra commerciale, soprattutto quella tra le due grandi potenze democratiche del mondo, difficilmente fa bene a qualcuno.