«Per come è scritto il decreto, la causale dopo il primo giro finirà per incentivare la rotazione piuttosto che la stabilizzazione». Tiziano Treu, già ministro del Lavoro e dei Trasporti, presidente del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel), guarda al decreto dignità al voto della Camera con forte interesse, ma anche con delusione.
Che cosa non la convince?
È un intervento parziale, limitato, per un verso di dubbia efficacia, perché certamente bisogna far qualcosa per ridurre la precarietà, ma, guardando anche altri Paesi, la tecnica delle causali è molto discussa. In Italia ha prodotto litigiosità giudiziaria.
Su cosa avrebbe puntato?
Interventi di più semplice applicazione, come incentivare di più il contratto a tempo indeterminato e le trasformazioni. Cosa che questo decreto fa, ma timidamente. E anche far costare di più il contratto a termine, perché la flessibilità si paga. E poi si è visto, anche in altri Paesi, che una quota di flessibilità è necessaria alle imprese. Si può mettere un limite quantitativo, che è di più facile applicazione. E anche una volta fatte le causali, si possono scrivere meglio, sentire qualche tecnico. Così come sono scritte temo che siano controproducenti.
Gli incentivi forse hanno costi maggiori.
Bisogna capire come va l’economia. Il vero problema è la stabilizzazione. In altri Paesi le prime assunzioni, specie di giovani, sono a termine, ma nel giro di qualche tempo si stabilizzano. Da noi si stabilizzano tardi e con questo sistema bisogna vedere cosa succede. Con il decreto hanno fatto qualcosina, ma non molto di più di quello che c’era già. E probabilmente serviranno correzioni.
Comunque si scoraggeranno i contratti a termine...
Ma i contratti di durata breve sono normali. Di fatto anche i contratti a tempo indetermi- nato oggi hanno una durata minore, perché le gente si muove, l’economia è diventata più mobile.
Però resta il problema della precarietà.
Io mi auguro due interventi strutturali. il primo sulle politiche attive, perché sarà sempre più da gestire una transizione da lavoro a lavoro e noi siamo ancora deboli. E il governo ha detto che intende farlo. Il secondo è una migliore finalizzazione dei sistemi formativi.
Pensa alla scuola?
Abbiamo decine di migliaia di posti in cui non si incontrano domanda e offerta. È uno spreco. Ma non si può agire per decreto. Si deve intervenire con l’alternanza, l’apprendistato.
Contro l’alternanza c’è stata una levata di scudi.
In Paesi dove la disoccupazione giovanile è molto inferiore c’è più orientamento, più apprendistato, più alternanza.
Alla fine è stato necessario reintrodurre i voucher.
Non ci sono più i voucher in senso stretto, ma questa forma di lavoro occasionale con il sistema che ha introdotto Gentiloni per superare il referendum. Così limitata e controllata è una forma utile. Ora il decreto ha allargato un po’ le categorie interessate. Così ce l’hanno tutti i Paesi.
I dati Istat confermano la sua preoccupazione? No, i dati Istat non vanno visti da un mese all’altro, perché non significano niente. Almeno da un anno all’altro. Il dato positivo è il calo del tasso di inattività. Perché se guardiamo solo il tasso di disoccupazione non vediamo tutto.
Si può parlare di effetti del nuovo governo?
No, no: ne riparliamo tra un anno.
Il Bes sarebbe un rilevatore più efficace?
Mi invita a nozze perché è una delle cose che il Cnel, con l’Istat, ha avviato in Italia tanto tempo fa. Lo sviluppo si conta non su quante cose materiali si producono, ma sull’insieme di prodotti materiali, immateriali e anche sul benessere, i livelli e le aspettative di salute, la partecipazione civica: su quello che è lo sviluppo sostenibile.