Due uomini allo specchio. E, in questo frangente, più vicini di quanto loro stessi potessero immaginare. Tremonti «terrorizzato» - questo l’oggettivo usato dai deputati a lui più vicini - dall’escalation della posizione giudiziaria di Marco Milanese, il plenipotenziario (sino a pochi giorni fa) di via Venti Settembre, dalle cui mani passavano le nomine e gli affari più delicati e che gli offriva un alloggio a Roma, in via di Campo Marzio. Berlusconi alla vigilia della sentenza che lo preoccupa più di ogni altra, che oggi potrebbe condannarlo ad un maxirisarcimento nei confronti di Carlo De Benedetti nell’ambito del lodo Mondadori. Entrambi si sono svegliati stamattina nel loro incubo peggiore: i mercati che attaccano i Bot italiani. Non solo per la fragilità del nostro debito, ma anche per le dichiarazioni del Cavaliere a
Repubblica (non smentite per quanto riguarda i contenuti, ma solo in relazione al contesto: «Era una conversazione amichevole»), in cui accusa il "superministro" di non fare gioco di squadra e ne sottolinea l’isolamento nel governo («Pensa di essere il migliore e considera tutti cretini, anche la Lega ha preso le distanze...»), e in cui fa intravedere la sua "preoccupazione elettorale" rispetto alla manovra. Parole pesanti che alimentano la speculazione, e che rendono urgente una risposta pubblica. In pochi minuti messaggi in questo senso arrivano informalmente dal Colle, in modo chiaro da Draghi e da Confindustria. Così il Cavaliere invita Tremonti ad una «colazione di lavoro» con tanto di nota che annuncia l’evento alla stampa, e, dopo appena 45 minuti di vertice a palazzo Grazioli, comunica al mondo che «il clima è stato cordiale», che «il governo vuole il pareggio di bilancio entro il 2014», che «la manovra sarà approvata prima dell’estate».Per il Palazzo sono stati 45 minuti con il cuore in gola. A tavola erano in tre: Berlusconi, Letta e Tremonti. Nessun’altro, per evitare qualsiasi spiffero. Anche stavolta, dicono fonti di palazzo Chigi, il superministro si sarebbe presentato con in testa la possibilità di lasciare il dicastero. E non per minacciare il premier, ma per prendere atto del preoccupante polverone giudiziario che sta coinvolgendo il suo (fino al 28 giugno) più stretto collaboratore. La presenza del sottosegretario è stata però un monito alla «responsabilità» nel giorno più turbolento delle Borse, e la decisione comune è stata quella di procedere insieme almeno sino alla conclusione dell’iter della manovra. Sono fatti che avvengono poche ore prima che le agenzie di stampa svelino i verbali delle dichiarazioni rese da Tremonti dinanzi ai pm di Napoli. La tregua sancita a palazzo Grazioli è stata siglata anche se questi fatti erano noti ad entrambi, e nonostante il duro affondo di giornata contro il Tesoro del giornale della famiglia Berlusconi. In ogni caso, tregua a parte, nel parterre delle alternative per via Venti Settembre, oltre a Lorenzo Bini Smaghi entra anche Vittorio Grilli (candidato dell’esecutivo a Bankitalia).Oltre al «senso di responsabilità», dicono uomini vicini al premier, la decisione di non lasciarsi dipenderebbe anche da una valutazione strategica di Berlusconi. Un segno di come sia andato il colloquio è, ad esempio, la nota diramata poco dopo da via Venti Settembre, in cui si annuncia un tesoretto da 6 miliardi da destinare al fisco. Il fatto viene letto come un cedimento di Tremonti di fronte all’insoddisfazione del premier sul
come sono stati presentati i tagli martedì. «La manovra – dicono i suoi – ora è più debole e più emendabile, fermo restando che i saldi non si cambiano». Insomma, con un ministro in difficoltà, il testo del Tesoro è sempre meno blindato, e Alfano lo fa intendere in serata, da Mirabello. Anche la Lega, con Maroni, conferma: «Siamo al lavoro per migliorarla». E poi, nel cuore del Pdl si consuma, tra lo sconcerto e il sarcasmo, la rivincita verso «quel ministro al quale non si può rivolgere parola, tre volte più distante di Fini, che non ha mai reso nota la catena di comando al ministero, che quando il suo braccio destro - Milanese - disponeva, non ce n’era più per nessuno». Parole di una deputata di casa a palazzo Grazioli. «Usava quella casa perché ha il braccino corto», commenta Guido Crosetto, il sottosegretario più duro verso Tremonti durante la gestazione della manovra.A cercare un minimo di compattezza ci prova Cicchitto, che parla di un «disegno di destabilizzazione» dell’esecutivo. Ma le note di solidarietà al ministro sono poche. Alfano, da Mirabello, dirà che «Tremonti è una persona perbene», e La Russa considera «una bestemmia immaginare che possa usare la politica per avere vantaggi». Ma la difesa più decisa è di un Bossi spaventato dal rischio corso a Piazza Affari: «Fa male Berlusconi a litigare con Tremonti, lui è una brava persona, è l’unico che ascolta i mercati. Meno male che ci siamo noi a tenere la barra dritta, se lasciassimo Silvio finiremmo come la Grecia». Ma comunque, conclude parlando della successione nel Pdl, non credo che «Berlusconi se ne vada».