Giovani attratti dalla professione di creatore di contenuti - Mambo
Nell'arco di dieci anni tramonta l'ambizione di diventare archeologo, giornalista, avvocato, giudice, cantante o youtuber. Invece sale quella per medico o infermiere, ma ancora di più per influencer, nutrizionista o psicologo. Mentre la professione di insegnante e ancor più professore conosce una nuova ondata di preferenze. È il risultato di una ricerca di Adecco, che mostra una progressione molto importante nell'interesse verso attività sanitarie e, in generale, quelle legate al benessere psico-fisico. Mutamenti profondi vengono riscontrati nel settore dello spettacolo e dell'intrattenimento e nelle professioni umanistiche, mentre si evidenzia una sofferenza particolare legata alle professioni giuridiche e quelle legate alla sicurezza e alle forze dell'ordine in generale. «I dati dei Neet e degli abbandoni scolastici mettono in luce come il lavoro sia percepito sempre di meno, soprattutto dai giovani, come un ascensore sociale a differenza del percepito delle generazioni precedenti. Ridare questa prospettiva e allo stesso tempo stimolo ai lavoratori deve essere uno degli obiettivi principali del Paese - spiega Andrea Malacrida, amministratore delegato di Adecco Italia -. Siamo impegnati in tal senso, inserendo i nostri dipendenti in percorsi di upskilling e reskilling e dando incentivi in busta paga a chi è assunto a tempo indeterminato per ogni corso di formazione svolto. Non solo, realizziamo quotidianamente attività di orientamento e project work con le scuole, che porteranno a oltre 500 assunzioni a tempo indeterminato nel 2023». L'interesse verso la professione del Medico, per esempio, cresce del +85% e quella dell'Infermiere del +39%. Registrano un vero e proprio boom anche le professioni legate al benessere psichico e fisico: lo Psicologo cresce del +148%, il Nutrizionista del +349%. Aumento che si allinea perfettamente con l'accresciuta sensibilità registrata negli anni verso tutti gli aspetti della Mental Health, e il ruolo centrale di una dieta bilanciata per una vita sana. In controtendenza l'interesse verso la professione di Personal Trainer, che cala del -5%. Exploit invece per le professioni umanistiche in controtendenza rispetto alla progressione della tecnologia e dell'Intelligenza Artificiale. Sale del 75% la pattuglia di italiani interessanti a intraprendere la carriera come Scrittori, del +78% fra chi vuol fare il Professore e ben del +123% chi vuol diventare Insegnante. Al contrario, crolla del -51% l'interesse verso la professione di Archeologo e si contrae del -9% chi è interessato a diventare Giornalista. Lo studio della costituzione e della legislazione sembra non esercitare più il fascino di un tempo presso il grande pubblico. Solo la professione del Notaio resiste, con l’interesse nei suoi confronti che sale ben del +116% rispetto a dieci anni fa. In sofferenza le professioni di Giudice, che cala del -20%, e quella di Avvocato, con -28%. Se la professione di Calciatore è, in Italia, un evergreen, verso la quale l’interesse cresce del +27%, non è la professione sportiva più in crescita. Al primo posto troviamo infatti quella del Pilota che, rispetto a dieci anni fa, cresce del +44%. Meno appeal genera invece la professione di Allenatore, che cala del -9%. L’interesse degli italiani nell’intraprendere una carriera al servizio dell’ordine pubblico sembra essere particolarmente in crisi rispetto a dieci anni fa. Cala del -21% l’interesse verso una carriera da Poliziotto, del -32% quella di Pompiere, del -42% quella di Carabiniere. Quanto al mondo dello spettacolo e dell’intrattenimento, è uno dei settori che ha subito le maggiori trasformazioni in questi dieci anni. Il boom dei Social Network da un lato, che ha portato alla creazione di numerose nuove piattaforme, e l’avvento della tv in streaming hanno infatti ridisegnato completamente lo scenario. Da un lato si registra un crollo del -50% di persone interessate a diventare Cantanti e un -13% di chi vuole diventare youtuber. Boom enorme del +505% di chi vuole fare l’Influencer, ma bisogna considerare che nel 2013 la professione era ancora agli albori. Si registrano infine alcune differenze fra uomini e donne: mentre fra gli uomini cresce del +41% chi vuol diventare un Modello e scende del -39% chi vuol fare l’Attore, per le donne è il contrario, con la professione di Modella che scende del -17% e quella di Attrice che cresce del 5%.
Il creatore di contenuti attira quattro persone su dieci
Altro che tendenza passeggera: quello del creatore di contenuti è un "lavoro vero" per una persona su due. E ha attratto, almeno una volta, ben quattro professionisti su dieci. Questi i risultati di un sondaggio condotto nel 2022 da Youtube shorts e OnePall su 2mila americani: se il 58% degli intervistati ha affermato di considerarlo un lavoro alla stregua di qualsiasi altra professione, il 41% ha addirittura dichiarato di aver preso in considerazione di diventare un content creator almeno una volta, motivato dalle opportunità di guadagno (39%), dalla possibilità di condividere la propria passione (37%), dall'autonomia (35%), dall'opportunità di apprendimento o creazione di connessioni sociali (33%) e dalla fama (30%). Dati che non stupiscono, considerato che i content creator sono oltre 50 milioni nel mondo (di cui più di due milioni considerati professionisti a tempo pieno). Un trend che riguarda anche l'Italia, dove i content creator sono 350mila e crescono del 20% ogni anno, in una costante evoluzione verso la professionalizzazione e la regolamentazione. «Mentre in mercati più maturi, come per esempio quello americano, il lavoro del creatore di contenuti è già in un percorso di consolidamento verso diventare una professione a tutti gli effetti, in Italia lo scenario è ancora molto frammentato - sottolinea Tommaso Ricci, managing director di Mambo, la prima community italiana di content creator nata proprio per aggregare, formare e professionalizzare, aiutandoli a monetizzare la propria creatività -. A scegliere questo percorso sono soprattutto ragazzi giovani (Millennials o GenZ), che parlano "nativamente" il linguaggio delle piattaforme e dotati di grande creatività, ma che sono impreparati su tutto ciò che serve per rendere questa creatività un lavoro. Quello che manca è un ponte che faciliti la comunicazione tra i creator e le aziende disposte a pagare per la loro creatività. Li aiutiamo ad affrontare la sfida di trasformare la passione in un lavoro e cogliere le opportunità offerte dal mercato: connettiamo i ragazzi ai brand, li aiutiamo a interagire con le aziende, a interpretare un brief, a ottimizzare i contenuti e i processi di produzione fornendo strumenti, spazi e una struttura di persone. Ma non solo. Quella del content creator è una professione insidiosa: li espone costantemente sui social network e non ha un andamento lineare. Per questo offriamo anche coaching e supporto psicologico».
La fuga dall'artigianato
Intanto continua a diminuire il numero degli artigiani presenti in Italia. Dal 2012 sono scesi di quasi 325mila unità (-17,4%) e in questi ultimi dieci anni solo nel 2021 la platea complessiva è aumentata, seppur di poco, rispetto all'anno precedente. Secondo gli ultimi dati resi disponibili dall'Inps, nel 2022 si contavano 1.542.2991 artigiani, per cui si potrebbe affermare - in base a un'analisi dell'Ufficio studi della Cgia - che non solo i giovani sono sempre meno interessati a lavorare in questo settore, ma anche chi ha esercitato la professione per tanti anni e non ha ancora maturato i requisiti per andare in pensione, spesso preferisce chiudere la partite Iva e continuare a rimanere nel mercato del lavoro come dipendente che, rispetto ad un artigiano, ha sicuramente meno preoccupazioni e più sicurezze. «Girando per le nostre città e i paesi di provincia sono ormai in via di estinzione tantissime attività artigianali. Insomma, non solo diminuisce il numero degli artigiani, ma anche il paesaggio urbano sta cambiando volto. Sono ormai ridotte al lumicino le botteghe artigiane che ospitano calzolai, corniciai, fabbri, falegnami, fotografi, lavasecco, orologiai, pellettieri, riparatori di elettrodomestici e tv, sarti, tappezzieri», commentano gli analisti della Cgia, per i quali si tratta di «attività, nella stragrande maggioranza dei casi a conduzione familiare». Al contrario, i settori artigiani che stanno vivendo una fase di espansione sono quelli del benessere e dell'informatica: nel primo caso, si continua a registrare un costante aumento degli acconciatori, degli estetisti e dei tatuatori; nel secondo, invece, sono in decisa espansione i sistemisti, gli addetti al web marketing, i video maker e gli esperti in social media. L'aumento di queste attività, tuttavia, è insufficiente a compensare il numero delle chiusure presenti nell'artigianato storico. Le cause di questo "crollo", secondo la Cgia, sono il forte aumento dell'età media, provocato in particolar modo da un insufficiente ricambio generazionale, la feroce concorrenza esercitata dalla grande distribuzione e in questi ultimi anni anche dal commercio elettronico, il boom del costo degli affitti e delle tasse nazionali/locali. I consumatori, inoltre, hanno cambiato il modo di fare gli acquisti. Da qualche decennio hanno sposato la cultura dell'usa e getta, preferiscono il prodotto fatto in serie e consegnato a domicilio. Nonostante la crisi e i problemi generali dell'artigianato, non sono pochi gli imprenditori di questo settore che da tempo segnalano la difficoltà a trovare personale disposto ad avvicinarsi a questo mondo. In tutto il Paese si fatica a reperire nel mercato del lavoro giovani disposti a fare gli autisti, gli autoriparatori, i sarti, i pasticceri, i fornai, i parrucchieri, le estetiste, gli idraulici, gli elettricisti, i manutentori delle caldaie, i tornitori, i fresatori, i verniciatori e i batti-lamiera. Senza contare che nel mondo dell'edilizia è sempre più difficile reperire carpentieri, posatori e lattonieri. Più in generale, comunque, l'artigiano di domani sarà colui che vincerà la sfida della tecnologia per rilanciare anche i "vecchi saperi". Nell'ultimo decennio - conclude lo studio - sono state Vercelli e Teramo le province che, entrambe con il -27,2%, hanno registrato la variazione negativa più elevata d'Italia. Seguono Lucca con il -27%, Rovigo con il - 26,3% e Massa-Carrara con il -25,3%. Le realtà che, invece, hanno subito le flessioni piu' contenute sono state Trieste con il -3,2, Napoli con il -2,7 e, infine, Bolzano con il -2,3%. In termini assoluti le province che hanno registrato le "perdite" piu' importanti sono state Bergamo con -8.441, Brescia con -8.735, Verona con - 8.891, Roma con -8.988, Milano con -15.991 e, in particolar modo, Torino con -18.075 artigiani. Per quanto riguarda le regioni, infine, le flessioni più marcate in termini percentuali hanno interessato il Piemonte con il -21,4, le Marche con il -21,6 e l'Abruzzo con il -24,3%. In valore assoluto, invece, le perdite di più significative hanno interessato l'Emilia Romagna (-37.172), il Veneto (-37.507), il Piemonte (-38.150) e, soprattutto, la Lombardia (-60.412 unità).
Un giovane su quattro pronto a lavorare gratis per un'azienda prestigiosa
Un sondaggio di Spot and web smentisce il luogo comune dei ragazzi che vogliono a tutti i costi il posto fisso. Al contrario, uno su cinque sarebbe disposto a lavorare gratis, seppur per un periodo limitato, purché si tratti di datori di lavoro di prestigio che garantiscano un ritorno di immagine poi valorizzabile nel proprio curriculum. Dopo aver intervistato oltre 600 ragazzi e ragazze neolaureati nelle più svariate discipline (tra le altre ingegneria, moda, design, lettere, lingue, matematica, architettura, comunicazione, agraria), sono stati ottenuti i seguenti dati. Il 18 % - sorprendentemente - ha risposto "Sì, sono disposto a lavorare gratuitamente ma a certe condizioni". Meno della metà del campione (44%) si è detto contrario. Infine, una terza porzione corrispondente al 15% ha dichiarato che non saprebbe rispondere alla domanda. E allora, a quali condizioni i giovani interpellati lavorerebbero gratis? il 33% ha risposto "A patto che dopo 6 mesi sia garantita l'assunzione". Ben il 22% dei giovani intervistati (una delle percentuali più alte) accetterebbe "Se il datore di lavoro avesse un nome prestigioso e garantisse eventuali spese di trasferimento da sostenere". Il 13% potrebbe lavorare gratis per un anno se il datore di lavoro garantisse anche corsi di aggiornamento periodici e non è dunque tra le opzioni preferite dagli italiani. I giovani hanno dimostrato quanto conti il nome dell'azienda in cui potrebbero lavorare e accetterebbero di farlo gratis "Se fosse consentito di lavorare fianco a fianco di grandi nomi dell'industria o dell'imprenditoria in modo da arricchire il curriculum" (34%, primo posto). Infine, se l'azienda consentisse anche una formazione all'estero i giovani direbbero sì a un lavoro non retribuito per un periodo limitato (32%). Contrariamente a quanto si possa pensare, chi è disposto a lavorare gratis non è di condizione socioeconomica elevata, anzi: il 34% del campione che ha risposto in questo modo appartiene alle classi sociali meno agiate. Mentre chi ha una estrazione benestante si dichiara disponibile solo nel 10% dei casi. Ma ecco le dieci aziende italiane più ambite che 'fanno curriculum' e per le quali gli interpellati accetterebbero di lavorare gratuitamente per un periodo limitato. In testa la Ferrari (15%), secondo posto per Armani (14%), chiude il podio Brembo (12%). A seguire leggermente più sotto Mediaset (10%), Finmeccanica (9%), Dolce & Gabbana (7%), Lamborghini (6%), Barilla (5%), Banca Intesa (4%) e Ferretti spa. (3%). Ma per quanto tempo il campione sarebbe disponibile a lavorare senza essere pagato? Il 53% ha risposto "Per sei mesi", il 23% lo farebbe anche per un anno. Soltanto il 10% accetterebbe "Per qualche mese".