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La “transizione ecologica” che la Commissione europea ha messo al centro del Next Generation Eu è un concetto vasto, capace di tenere insieme scelte concrete molto variegate: ad esempio la costruzione di piste ciclabili e l’investimento su treni a idrogeno, gli incentivi per coltivare fragole biologiche e i bonus per chi mette il cappotto termico al condominio. Ciò che unisce progetti così diversi è l’obiettivo: ridurre l’impatto negativo che la nostra società ha sull’ambiente. I grandi protagonisti della transizione ecologica, i principali oggetti del cambiamento che l’Europa vuole raggiungere, sono due: l’energia e le risorse naturali.
Nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che il governo Conte ha approvato il 13 gennaio c’è un’idea di transizione ecologica molto centrata sull’energia e, più in particolare, sul risparmio energetico. Dei 68,9 miliardi di euro stanziati per la missione “Rivoluzione verde e transizione ecologica” ben 29,35 – cioè poco meno della metà – sono destinati a interventi per ristrutturare edifici pubblici e privati così da renderli più efficienti dal punto di vista energetico. Il modello, per i privati, è chiaramente quello del superbonus, esplicitamente citato nel Pnrr. Non è chiaro, e il Piano del governo Conte non lo scrive, di quanto si potrebbe ridurre il consumo nazionale di energia con interventi di questo tipo. Secondo le ultime statistiche dell’Agenzia internazionale per l’energia, in Italia il settore residenziale è responsabile per il 26% del totale dei consumi energetici e per il 14% delle emissioni di anidride carbonica.
Non sono gli edifici il settore più energivoro e a maggiore impatto carbonico, ma i trasporti, che producono il 46% delle emissioni di anidride carbonica e consumano il 29% dell’energia. Nel Pnrr il governo ha previsto 7,5 miliardi di euro per «trasporti locali sostenibili, ciclovie e rinnovo del parco rotabile». Un investimento contenuto a cui però vanno aggiunti i 32 miliardi di euro della missione “infrastrutture per una mobilità sostenibile”, che è un capitolo a parte rispetto a quello della transizione ecologica. Qui ci sono 26,7 miliardi di euro per le opere ferroviarie, 1,6 miliardi per strade, ponti e viadotti, 3,7 miliardi per i porti. Solo alcuni di questi interventi sono esplicitamente ecologici.
Agli interventi per ridurre i consumi e le emissioni si accompagnano quelli per produrre elettricità in maniera più verde. Nel Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima che il ministero dello Sviluppo economico, in collaborazione con quelli dell’Ambiente e dei Trasporti, ha presentato nel gennaio del 2020 il governo prevedeva di portare la quota di fonti rinnovabili sui consumi finali lordi di energia dal 18,8% del 2019 al 30% nel 2030. Se si guarda all’energia elettrica, le rinnovabili oggi rappresentano circa il 35% della produzione nazionale e il progetto è di portarle al 55% per il 2030. Il Pnrr stanzia 8,7 miliardi per aumentare la potenza rinnovabile dell’Italia, puntando in particolare sullo sviluppo di parchi eolici e fotovoltaici offshore, cioè al largo delle nostre coste. Impianti di questo tipo sono già diffusi da tempo nel Mare del Nord, ma negli ultimi mesi sono partiti i primi progetti per realizzarli nel Mediterraneo (e proprio in Italia).
Altri 2 miliardi di euro sono previsti per la filiera dell’idrogeno. Tutta Europa sta studiando i possibili impieghi dell’elemento più leggero della tavola periodica per generare energia senza emissioni di CO2. Siamo ancora agli inizi. L’Italia si muoverà sulla base della Strategia nazionale sull’idrogeno di cui si sta occupando il ministero per lo Sviluppo economico, che nei mesi scorsi ha raccolto esperienze e pareri. L’obiettivo è arrivare a circa il 2% di «penetrazione dell’idrogeno nella domanda energetica finale», così da permettere un taglio delle emissioni di anidride carbonica nell’ordine degli 8 milioni tonnellate all’anno.
Nel Pnrr c’è anche spazio agli aspetti che riguardano l’uso delle risorse naturali. Il Piano, sempre nella missione "Transizione ecologica”, prevede 4,5 miliardi di euro per l’economia circolare: 2,2 miliardi per riconvertire i processi industriali in chiave circolare, 1,5 per gli impianti di riciclo, 800 milioni per progetti ecologici «da individuare». Poi ci sono 1,8 miliardi per l’agricoltura sostenibile: dentro c’è un po’ di tutti, incentivi per mettere pannelli solari sui tetti delle stalle, incentivi per agricoltori, allevatori, pescatori che presentino progetti «finalizzati alla riconversione delle imprese verso modelli di produzione sostenibile». Ci sono poi i 3,6 contro il dissesto idrogeologico, i 4,4 per le risorse idriche e i 6 per l’efficientamento energetico dei Comuni.
La transizione ecologica italiana del governo uscente sta in questo tipo di progetto. Nelle prossime settimane sarà da vedere quanto di questo programma – che fin qui non ha convinto Bruxelles – sarà confermato dal nuovo governo. C’è chiaramente ampio spazio, ma poco tempo, per riorganizzare i piani e le voci di spesa, oggi molto concentrati sull’immobiliare e le infrastrutture ferroviarie. Se davvero avremo un ministro per la Transizione ecologica è di questo che dovrà occuparsi.