Va decisamente controcorrente, l’economista barese Gianfranco Viesti. Pensa che il Mezzogiorno sia lo specchio del Belpaese e che lo studio di Bankitalia sulle differenze di prezzi tra Nord e Sud sia di alta qualità, ma i dati sono criticabili.
Come giudica l’indagine sul costo della vita della Banca d’Italia? Ottima qualità. Ma da non prendere acriticamente. Nel merito, parte da due assunti di fondo. Il primo è complesso e cruciale. Considera incluso nel costo della vita il prezzo dell’acquisto della casa. Dato che i prezzi delle abitazioni sono molto diversi nel Paese, calcola la differenza del costo della vita attorno al 16%. Invece tale costo, al netto del mutuo che uno stipula per acquistare una casa, si riduce alla metà, attorno all’otto per cento, dato per me ragionevole.
Secondo assunto? Non parla di qualità. I prezzi suppongono che beni e servizi acquistati siano identici. Questo vale se acquistiamo un maglione o un elettrodomestico, se invece parliamo di sanità o trasporti non è detto che la qualità dei servizi sia identica. Il biglietto dell’autobus a Bari costa meno che a Milano perché la qualità del servizio è peggiore.
Cosa determina la differenza del costo di un appartamento tra nord e sud Italia? Il prezzo di mercato incorpora la minore qualità di vita e dell’ambiente. A Catanzaro si paga meno che a Mantova perché la città calabrese offre meno opportunità lavorative, servizi e cultura rispetto a quella virgiliana.
Servono le gabbie salariali?Autorevoli commentatori continuano chiedere la differenziazione salariale, dimenticando che è già avvenuta. Negli ultimi 10 anni i salari reali al Sud sono rimasti infatti quasi fermi, mentre al nord sono cresciuti un poco ogni anno, creando una differenza salariale. Se oggi prendiamo due persone dello stesso sesso, età, livello di formazione e con la stessa mansione, quella del sud percepisce il 15% in meno.
Per quale meccanismo? Al Sud non è mai decollata la contrattazione decentrata. La Banca d’Italia ha prodotto recentemente un altro studio che confronta i salari a partire dal 1993, anno di partenza della contrattazione decentrata. Bene, le imprese del Nord, più grandi e produttive, riescono a pagare la contrattazione aziendale e i superminimi individuali. A me sembra una differenza che sta nei fatti, figlia della diversa produttività delle imprese. Nel 1995 è stato tolto l’incentivo alle aziende per la fiscalizzazione degli oneri sociali, in base al quale le aziende del Mezzogiorno pagavano meno contributi. Questo ha fatto sì che il sistema meridionale si aggiustasse pagando meno i salari. Mi stupisce però l’assenza di questo dato di fatto nella discussione pubblica.
Come si supera il divario economico tra le due Italie? Aumentando la produttività che è ferma in Italia. I livelli produttivi sono più bassi al sud, ma la dinamica, cioè quanto è successo negli ultimi 10 anni, è identica. Non possiamo fare nulla di più per rendere più flessibile il mercato del lavoro. E la fiscalità di vantaggio per il Mezzogiorno è sbagliata perché significa far pagare ai contribuenti di tutto il paese le tasse per le imprese del Sud. Allora bisogna aumentare la produttività.
Da cosa dipende tale aumento? Da quel che succede dentro le imprese, che dovrebbero crescere ed essere più capitalizzate, innovare e assumere personale qualificato. E poi da quello che c’è fuori dalla porta della fabbrica: trasporti, comunicazioni, servizi, sicurezza, energia, scuola e università. I dati sulla produttività ferma segnalano che il sistema Italia ha bisogno di una manutenzione straordinaria.
La questione meridionale torna in prima pagina. Bene, ne è stata assente a lungo. Ma prevale a Nord e a Sud una comunicazione gridata a scapito della qualità dell’informazione. Il Mezzogiorno fa passi avanti quando si ragiona con pacatezza.