martedì 30 maggio 2023
Nessun settore ha avuto aumenti contrattuali in grado di compensare l'aumento dei prezzi. Su 73 contratti nazionali 32 in attesa di rinnovo
L'inflazione corre più dei salari: in un anno calo del 6,2%
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Nell’ultimo anno praticamente in nessun settore economico ci sono stati aumenti contrattuali delle retribuzioni che siano stati in grado di compensare l’impennata dell’inflazione. Da aprile del 2022 il reddito reale dei lavoratori coperti da contratto nazionale è sceso del 6,2% considerando due parametri: la salita dell’indice dei prezzi (8,8%), che è uguale per tutti, e i rispettivi aumenti previsti dai vari contratti nazionali.

Dall’industria all’agricoltura, dal commercio all’istruzione, passando per le attività professionali – pur con un’incidenza diversa – i salari sono sensibilmente diminuiti ovunque. I dati emergono dall’analisi delle tabelle Istat sulle retribuzioni contrattuali suddivise per settore economico. Per l’industria e i servizi nel complesso, per esempio, si registra un -7%. Tra i comparti più penalizzati, soprattutto visto che si tratta di un settore particolarmente strategico per la crescita dell’economia, c’è quello delle costruzioni (con un -8,2%). L’effetto inflazione si è sentito quasi totalmente anche per i lavoratori impiegati nell’industria del legno (-8,7%). Stesso discorso anche per le attività dei servizi di ristorazione e di alloggio, dove il saldo tra inflazione e aumenti contrattuali risulta essere -8,5%. I rincari hanno alleggerito – seppur in modo meno rilevante (anche se va evidenziato che la base di partenza salariale in media è più bassa) – le buste paga del settore cosiddetto primario. In agricoltura, silvicoltura e pesca le retribuzioni, al netto dell’inflazione, sono scese del 4,3%. Per chi è occupato nell’industria delle armi, invece, il peso dell’inflazione è stato minimo, perché considerata la salita delle retribuzioni nella fabbricazione di veicoli militari da combattimento si ottiene un -2,4%.

In una pioggia di “segni meno”, spicca lo strano caso che riguarda i lavoratori del trasporto aereo: a fronte di un’inflazione all’8,8% le retribuzioni del settore sono aumentate del 23,3%, per un risultato finale di +14,5%. Che in generale gli stipendi degli italiani abbiano risentito in modo significativo negli ultimi mesi della spinta inflazionistica è stato segnalato di recente anche dall’Ocse.

Dall’analisi dell’organizzazione, nell’ultimo trimestre del 2022 il reddito reale delle famiglie è salito in media dello 0,6% nell’area dei Paesi membri, superando dello 0,1% la crescita del Pil reale per abitante. In Italia, negli ultimi tre mesi dello scorso anno, il reddito delle famiglie è invece calato del 3,5%. L’Ocse ha sottolineato come «la fiammata dei prezzi energetici» abbia causato una «forte inflazione», con conseguenze sulle disponibilità dei nuclei familiari. Il dato sul reddito delle famiglie nel quarto trimestre del 2022 varia molto a seconda dei Paesi presi in esame dall'Ocse. Sui 21 Stati membri dell'organizzazione per cui i risultati sono disponibili, 8 registrano un aumento del reddito mentre 13 sono in calo. Tra le economie del G7, il Regno Unito realizza l'aumento più importante (1,2 %), spinto dalla crescita dei salari e dal sostegno pubblico ai consumi di energia. Anche Canada, Francia e Stati Uniti registrano una salita del reddito reale mentre l'Italia è appunto in calo del 3,5%. Su base annua, sempre tra i Paesi del G7, il dato è sceso del 3,9%, con la contrazione più importante negli Stati Uniti (-6%). Tra gli altri Paesi Ocse, il calo più forte viene segnalato in Cile (con un -15,1%).

Tornando all’Italia, una delle ragioni principali della perdita del potere d’acquisto dei lavoratori è data dai ritardi con cui si sta procedendo ai rinnovi di tanti contratti nazionali. Così le retribuzioni non riescono mai a tenere il passo con un’inflazione che galoppa. Su un totale di 73 contratti nazionali (di cui 15 nel settore pubblico) esaminati dall’Istat, dai dati aggiornati a marzo ne risultano 32 in attesa di rinnovo, per circa 6,9 milioni di dipendenti coinvolti, il 55,6% del totale. Il tempo medio di attesa di rinnovo per i lavoratori con contratto scaduto sfiora i due anni (23,4 mesi), mentre per il totale dei dipendenti è di 13 mesi.

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