Marco Piccolo, Ceo della Reynaldi cosmetici
«È una questione di coerenza, per un cristiano di 'unità'. Non si può essere in un modo in parrocchia, come educatore e formatore, o in famiglia con i propri figli, e poi comportarsi diversamente in azienda, fare l’imprenditore inseguendo solo il profitto e non prestando l’attenzione e la considerazione dovuta a chi lavora con te». Marco Piccolo, 46 anni, una moglie e 4 figli, è l’amministratore delegato della Reynaldi cosmetici, scelta come 'ambasciatrice' dell’Economia Civile al Festival di Firenze.
Da un dipendente nel 2000, l’azienda che produce conto terzi, ne conta oggi 59 e il fatturato ha avuto un incremento davvero notevole: in media il 25% l’anno dal 2008, fino al +47% nel 2019 e persino in questo difficile 2020 le stime parlano di un +50% in uno stabilimento a Pianezza (Torino) che da 60 è cresciuto fino a 7.500 metri quadrati. Ma la Reynaldi è un’azienda speciale non solo per i risultati. Prima impresa Benefit del suo settore, la produzione di 100mila pezzi al giorno tra detergenti e skincare avviene recuperando il 97% dei rifiuti dovuti alle lavorazioni, viene filtrata e recuperata anche l’acqua utilizzata, mentre i pannelli fotovoltaici assicurano l’energia necessaria e azzerano il bilancio della CO2.
Massima sostenibilità, dunque. Il vero ingrediente segreto del successo, però, pare essere il rapporto con le persone. «Ognuno deve sentirsi valorizzato e sapere che il suo lavoro, fosse anche solo avvitare il tappo sul tubetto o pulire gli ambienti è molto importante per l’azienda e ha un senso profondo – spiega Marco Piccolo –. Noi ci mettiamo qualche attenzione, come le bevande e il caffè gratuito, la pulizie delle divise degli operai e la chiusura delle attività tassativamente alle 17, perché bisogna vivere anche fuori dal lavoro, dedicarsi alla famiglia, agli impegni sociali o alle proprie passioni».
Soprattutto, l’azienda ha deciso di distribuire ai dipendenti ben il 30% dell’utile prodotto. E poi ci sono i progetti sociali: le collaborazioni con tante associazioni: il Cottolengo, San Patrignano, il gruppo Abele. E un’iniziativa particolare nel Burkina Faso, «dove compriamo burro di karitè ai prezzi europei, dieci volte superiori a quelli locali, e abbiamo iniziato un rapporto speciale con alcune donne, a cui abbiamo fornito anche i macchinari per produrre in proprio per il mercato locale», spiega ancora l’amministratore della Reynaldi. Oggi così sono 25 le donne che lavorano nell’azienda autogestita nel Paese africano. «Non potrei comprarmi una Ferrari e disinteressarmi di chi fatica ad arrivare a fine mese. Mi tengo la Fiat Idea di 14 anni e
preferisco condividere parte degli utili. Perché chi lavora con me, se non felice, sia almeno soddisfatto e orgoglioso di quel che fa», conclude Piccolo.