«
Paèi makrià! Se ne vada!
Den Demosiogràphoi! Niente giornalisti!», dicono senza astio l’omone con i baffi e sua moglie, incaricati di fare la guardia all’ingresso. Poi ci ripensano. «Ma per favore, non faccia fotografie…» Hanno ragione da vendere, quelli dell’“Hotel Poverty”. Hanno ragione e una traboccante dose di
uperephanèia, quell’orgoglio e quell’amor proprio tutto ellenico che tante volte sconfina nella superbia. Ma non qui, non al numero 30 di via Kostantinopoleos, non all’“Hotel Poverty”, come lo chiamano beffardamente i molti che escono dal piccolo portone dipinto di rosso con in mano un sacchetto, un piatto di plastica, un bicchiere con del caffelatte. Perché qui la
hybris, la tracotanza, non ha cittadinanza: qui, in questa replica caricaturale del “Million Dollar Hotel” di Los Angeles raccontato da Wim Wenders, si raduna da qualche mese una sintesi perfetta della povertà che ha aggredito il ceto medio greco, spogliandolo non solo dei propri risparmi, della propria casa, dei propri sogni, ma soprattutto della certezza del proprio futuro.L’edificio, una vecchia palazzina estremamente bisognosa di restauri è una struttura – si fa per dire - di Klimaka, la Ong che si occupa prevalentemente dei senza tetto. «Ce ne sono almeno un centinaio, stamattina – dice Karima, mentre serve da un grande pentolone dello stufato alla gente in coda – ma solo metà abitano qui. Per gli altri non c’è posto, arrivano solo per il pasto principale». Li osservo. Sono quasi tutti uomini e non sono affatto anziani. Parlano, raccontano e certe storie preferiremmo non averle sentite. Come quella di Kalisto Venizelos, funzionario del porto del Pireo («Venizelos come il ministro delle Finanze – dice - quello che fa pagare le tasse a tutti e manda giù ogni boccone che la Merkel gli fa inghiottire…»), che in tre mesi ha perso tutto: il lavoro, la moglie che lo ha lasciato, la casa e infine i risparmi, «che sono serviti a vivere un paio di mesi, ma poi sono finiti anche loro». Kalisto ha solo 46 anni e scarse prospettive di trovare un lavoro, anche saltuario. Poi c’è Milos, che faceva il geometra, a cui le banche hanno portato via la casa: «Avevo pagato quasi il 70% del mutuo. Quasi il 70%… Ma non avevo più soldi, così la banca mi ha sfrattato. Dove potevo andare?» L’“Hotel Poverty” ne ha ricoverati molti come lui. «A volte – racconta Karima – qualcuno ce la fa, trova lavoro, o trova un’abitazione vera. E allora si fa festa, tutti quanti, perché per uno che ce la fa si accende la speranza per tutti gli altri».Alla sede di Klimaka sono meno ottimisti: «C’è stata un’impennata molto forte del numero dei senza tetto in Grecia, almeno il 30% in più negli ultimi 9 mesi – dice Ada Alamanou, coordinatrice del programma di sostegno agli homeless ellenici – ma perdere la casa e il lavoro conduce molto spesso alla perdita della stabilità psichica. Sono molti i casi di alienazione, purtroppo, e molto poca la prevenzione da parte dello Stato, senza contare l’incolumità fisica: dopo le 2 del pomeriggio la zona attorno al nostro ricovero diventa malsana: i poveri rapinano e assaltano altri poveri».«I poveri c’erano anche prima – spiega Antonis Groullero della Caritas Hellas – ma erano soprattutto rifugiati del Nordafrica e del subcontinente indiano. Nell’ultimo anno ne sono entrati illegalmente 57mila nel Paese, molti di più che da voi in Italia. Ora però si sono aggiunti i greci di Atene e dei sobborghi. Vada dietro piazza Omonia e vedrà da sé». È vero. Il grande paiolo con gli spaghetti alla bolognese non fa differenze: ci sono afghani, pakistani, yemeniti, senegalesi, etiopi. E ora, con gli occhi bassi e il ritratto di una sconfitta senza nome sul volto, i cittadini di Atene. «Lo Stato non ci ha dato sovvenzioni, nonostante le esortazioni del nostro presidente Nikos Voutsinos – dice Groullero -. Si vive solo di donazioni. E cominciano a non bastare più». Lo stesso presidente della Caritas ha ammesso qualche giorno fa che «la crisi finanziaria si sta rapidamente trasformando in un’emergenza sociale».Non facciamo fatica a crederci. Due isolati più in là si cela l’Athenian Municipality Solidarity Shelter, struttura cittadina che offre pasti e assistenza ai senza tetto. Trovarla non è un problema: a poca distanza dalla stazione della metropolitana (in sciopero da tre giorni) già si intravede la coda. Ma il segretario generale Apostolopoulos, che sulle prime si barrica dietro la sua monumentale segretaria, è avvilito: «Non riusciamo a sfamarli tutti. Ogni giorno c’è questa scena pietosa: i più fortunati, quelli che si mettono in coda alle 8 del mattino, riescono ad avere un pasto completo. Poi ci sono quelli un po’ meno fortunati, che mangiano quello che resta. E poi ci sono quelli che vede per strada: per loro oggi non c’è più niente, e dovranno andare da un’altra parte». È così per Mirta, per Maria, per Katarina, per Stavros, per Antonio e la sua bambina, per Spyros, che allungano la fila dei diseredati che si allontana in cerca di un altro ricovero, di un’altra mensa, di un altro buco pietoso che li accolga e non li lasci in mezzo alla strada. Come fa l’Arcidiocesi di Atene che serve pasti tre volte al giorno, 2.000 a mezzogiorno, 1.200 al pomeriggio e un migliaio alla sera. «Io una casa ce l’ho – dice Elias – ma non ho più la luce e nemmeno il gas. Non posso mangiare pasti caldi e non posso vivere solo di merendine. Lo sa dove lavoravo prima? All’Hilton. Adesso non posso nemmeno aspirare agli avanzi dell’Hilton». «Io non ho in tasca un centesimo e dormo alla Croce Rossa. Ma senza un amico, senza raccomandazioni è difficile perfino trovare un tetto…», dice Titos, tragica copia carbone della Grecia che ha sempre vissuto fra scandalosi privilegi e minutissimi favori. Fino a questa poco invidiabile resa dei conti.