Belle differenze. Per esempio quella fra lo stipendio medio di un dirigente e la paga di un operaio, che è di 356 euro al giorno, cioè 10.680 al mese od oltre 128mila all’anno in più. La paga giornaliera sempre di un operaio è poi 127 euro in meno rispetto alla retribuzione di un "quadro", mentre quella di un impiegato è 22 euro in più. E questi sono alcuni dati diffusi dalle Acli nella prima delle quattro giornate del loro 44° Incontro nazionale di studi, a Castel Gandolfo, dedicato al "Lavoro scomposto".
Apprendisti e donne. Il rapporto dell’Iref (l’Istituto di ricerca delle Associazioni cristiane dei lavoratori italiani) ha messo così a confronto le retribuzioni medie giornaliere dei lavoratori dipendenti nelle diverse professioni del settore privato (Fonte Istat-Inps, Rapporto sulla coesione sociale, 2010). Rispetto alla retribuzione media giornaliera (82 euro), un dirigente guadagna 340 euro in più al giorno, un quadro 111 euro, un impiegato 6 euro in più: un operaio mette invece in tasca un salario giornaliero di 16 euro inferiore alla media. Peggio di lui è messo solo il lavoratore apprendista, che ha in meno 31 euro al giorno. Le donne, rispetto agli uomini, prendono al giorno 27 euro in meno.
Il lavoro sommerso. Altre cifre? Sono irregolari 12 posti di lavoro su 100 (18% al Sud e il 27% in Calabria). Nel nostro Paese c’è solo lo 0,1% di grandi imprese, contro lo 0,5 della Germania e lo 0,4 della Gran Bretagna. Il prospetto demografico è sempre più negativo: l’indice di ricambio della popolazione attiva piazza oggi l’Italia in una posizione intermedia rispetto all’Europa, ma è destinato a peggiorare nei prossimi vent’anni.
Scarso peso della ricerca. I lavoratori della conoscenza nel settore privato in Italia sono poco più di 100mila (35mila ricercatori, 41mila tecnici e 24mila altri addetti): in Giappone sono quasi sei volte di più (683mila), e tre volte in Germania (341mila) e una nazione demograficamente piccola come l’Olanda ha appena 6mila ricercatori meno di noi. E se l’Italia «sa ancora attrarre finanziamenti dall’estero in ricerca e sviluppo» mantenendosi poco sopra la media, tuttavia «difettiamo colpevolmente in brevetti di cooperazione e transfrontalieri»: in sostanza i risultati della nostra ricerca vanno a vantaggio di altri.
Crisi & occupazione. Quanto agli effetti della crisi sulla qualità dell’occupazione, le Acli segnalano la progressiva diminuzione degli addetti alla manifattura tradizionale e l’inversione di tendenza nei settori dell’alta tecnologia. Morale? «A fronte di una perdita di occupati di fascia alta, si ha un ulteriore allargamento della base occupazionale poco o per nulla specializzata».
Gli atipici? Non solo giovani. Quasi un lavoratore su quattro (23%) ha una occupazione «non standard», cioè non a orario pieno e non a tempo indeterminato: il 12% (2milioni e 700mila persone) è lavoratore a tempo parziale, mentre l’11% è atipico (tempi determinati e collaboratori). Il lavoro a tempo parziale interessa maggiormente le donne: un milione e 800mila. L’età mette in evidenza «un’elevata percentuale di individui adulti (il 48% degli atipici ha fra 30 e 49 anni).
Tanti "scoraggiati". L’Italia è nel gruppo di Paesi dove i disoccupati di lunga durata (almeno 24 mesi) superano il 45% del totale. Mezzogiorno a parte, il dato più preoccupante è quello del Nord Est: qui dal 2002 al 2007 la disoccupazione di lunga durata è passata da un 17% al 31,4%, tornando poi a scendere nel 2008 (29%). C’è poi la quota di inattivi definiti "scoraggiati", disponibili cioè a lavorare, ma che dichiarano di non cercare lavoro perché sfiduciati: in Europa continuano ad essere il 4% (sul totale degli inattivi) e in moderata crescita nel 2010 (4,6%). Ma da noi il dato è più del doppio e tra il 2009 e i 2010 è cresciuto fino al 10%: sarebbe a dire 1 milione e mezzo di persone, soprattutto al Sud.