Sono 136.616 i lavoratori che rischiano di perdere il posto, nel corso del 2014, nei settori della manifattura e delle costruzioni. È la stima fatta dalla
Cisl nel Rapporto Industria. Insomma ogni mese che passa sarebbero più di 10mila i posti in bilico. Un dato peggiore dell'11% rispetto alle stime 2013.
"L'Italia è ancora ben lontana dall'uscita della crisi economica e sociale - commenta il segretario Generale della Cisl, Raffaele Bonanni -. Non possiamo continuare a perdere centinaia di migliaia di posti di lavoro senza che ci sia un impegno straordinario di tutti". E aggiunge: "La via di uscita per un'Italia bloccata e
in ripiegamento, con divari sociali crescenti, non può essere affidata ai soli margini di flessibilità che l'Unione Europea può concederci, necessari ma non
risolutivi dei nostri nodi strutturali".
Per crescere, secondo Bonanni "occorre disporre di progetti
d'investimento territoriali validi e remunerativi, sostenuti da
buone capacità imprenditoriali e da nuovi canali finanziari, a
partire da una potenziata Cassa Depositi e Prestiti, che
mobilitino il risparmio nazionale e attraggano investitori
dall'estero".
Sulla stessa linea il segretario confederale della
Cisl, Luigi Sbarra, secondo cui "il ciclo negativo
dell'industria non è ancora superato" e "dopo sei anni di crisi
che sono costati la perdita di 900.000 posti di lavoro", ora
"sono a rischio quasi 140.000 posti di lavoro, mentre i livelli
produttivi sono quasi fermi". Per il sindacalista "oggi fare
ogni sforzo per scongiurare una preoccupante prospettiva di
stagnazione".
Tornando al Rapporto, la Cisl vede "in costante crescita il
numero di interventi per le persone che hanno perso il lavoro",
registrando un'impennata del 66,5% in tre anni (2010-2013) degli
"interventi di sostegno", arrivati a superare quota 2 milioni. E
l'aumento più forte riguarda i lavoratori in mobilità, 217.597
nel 2013, saliti di oltre l'80% nello stesso periodo.
La crisi ha colpito soprattutto l'industria manifatturiera e le costruzioni, che hanno subito complessivamente, tra il 2008 e il 2013, quindi in 5 anni, circa
l'89% della diminuzione totale degli occupati. La perdita di posti nel comparto, sottolinea il sindacato, è stata pari a "482.396 mila".
"La gran parte delle imprese ha
affrontato il tunnel della crisi a denti stretti, facendo ordine
innanzitutto in casa propria", spiega il rapporto della Cisl.
E fra le modifiche interne alle aziende, "rilevante, quanto
prevedibile, è stata la riduzione permanente del numero di
occupati, per il 27,8% delle imprese".
Un ridimensionamento forte "che ha accompagnato, e
probabilmente limitato, altre strategie possibili, come la
delocalizzazione all'estero ed il decentramento produttivo in
Italia". La delocalizzazione all'estero, fa sapere lo studio,
"ha riguardato solo l'8,7% delle imprese, bilanciata dal 7,6% di
flussi inversi, dall'estero in Italia". Inoltre, il
dossier, "il rientro in azienda di attività decentrate a livello
nazionale, pari al 20,4% delle imprese, è stata superiore alle
attività decentrate a livello nazionale (16,4%), presumibilmente
per l'esigenza delle imprese di affrontare in casa i problemi di
un migliore controllo di qualità dei prodotti".
Guardando ai diversi settori industriali la Cisl nota "un mix
di ripresa e recessione". Dal lato della produzione, sette
settori sono "tendenzialmente in ripresa (metallurgia, mezzi di
trasporto, gomma e materie plastiche, prodotti chimici e
farmaceutici, prodotti tessili e abbigliamento, alimentari)";
invece "cinque sono in recessione(apparecchiature elettriche e
non elettriche, prodotti petroliferi raffinati, macchinari e
attrezzature, computer e prodotti elettronica e ottica, energia
elettrica, gas e acqua)".