Un insegnante: per chi ha posti precari lo stipendio può essere intermittente e anche molto basso - CC Pixabay
Maurizio, Stefano e Bianca lavorano tutti e tre per la stessa cooperativa di servizi educativi. O meglio: lavoravano. Due di loro hanno già dato le dimissioni, il terzo lascerà alla fine di quest’anno scolastico. Ventidue, trentadue e quarantadue anni, neanche a farlo apposta, le loro situazioni personali sono molto diverse. Maurizio vive ancora con i genitori: «Solo per questo riesco ad arrivare a fine mese» dice. Stefano vive con la fidanzata «ma a Bologna non ce la facciamo più. Ci diamo un’altra chance, fino a fine anno, dopo di che penso che torneremo in Molise», di dove lui è originario. Anche la fidanzata, infatti, ha lavori precari nella ristorazione: «Siamo venuti a Bologna per studiare all’Università, carichi di belle speranze. Dopo più di 10 anni ci ritroviamo insoddisfatti, precari, non facciamo quello per cui abbiamo studiato e, anzi, le stesse cose, per lo stesso stipendio, potremmo farle anche “giù”. Con la differenza che, in Molise, la vita e, soprattutto, le case, costano meno e avremmo l’aiuto delle famiglie se volessimo fare un figlio: per questo pensiamo di tornare a vivere là» racconta un po’ sconsolato.
Questo “ciclo dei vinti” dal lavoro povero prosegue con Bianca, che è sposata, ma non ha figli: «Siamo entrambi precari della scuola, non ce la sentiamo di mettere su famiglia», dice. Tutti e tre guadagnano meno di 900 euro al mese: «Abbiamo contratti part-time, flessibili, cioè durante l’anno le ore di straordinario vengono accumulate per compensare il periodo estivo, in cui cala il lavoro, per cui paradossalmente da precari si guadagna di più, perché almeno pagano lo straordinario», lamentano.
Questa sorta di “banca ore al contrario” è un problema di tanti lavoratori del settore, oggettivamente di difficile soluzione, essendo le loro mansioni legate al periodo scolastico: il salario, già misero, viene spalmato su tutti i mesi dell’anno e rende impossibile la sopravvivenza. Tutti e tre si ingegnano con altri lavoretti: «Fatichiamo a pagare l’affitto».
Un vicolo di Bologna - CC Pexels
Lo stesso problema era anche di V., seguito egregiamente dalla Comunità di Sant’Egidio: salario troppo basso per pagare un affitto. Ha risolto trovando lavoro come badante: vitto, alloggio e stipendio gli consentono, finalmente, una vita dignitosa. Finché dura, dato che il lavoro domestico è, naturalmente, legato a doppio filo alle condizioni dell’assistito.
Il copione si ripete per Y., giovane sudanese. Laureato col massimo dei voti alla prestigiosa Sudan University of Science and Technology, ha deciso di venire in Italia per garantire un futuro all’altrettanto giovane moglie e ai figli che vorrebbero avere. Ha trovato subito lavoro come tecnico specializzato in un’azienda del territorio metropolitano di Bologna. Guadagna bene, in verità, in termini assoluti: non abbastanza, però, per affittare un appartamento a Bologna. Il suo datore di lavoro, consapevole di aver “trovato un tesoro”, ha fatto di tutto per aiutarlo: «Ho girato non so quante agenzie, visto più di 30 case. Dicevo sempre che era per un mio dipendente, ma quando lo vedevano, di colore, con la giovane moglie, stranamente la casa risultava sempre già affittata qualche ora prima, o sorgevano intoppi». Eppure, le garanzie c’erano tutte: «Un contratto a tempo indeterminato , una paga sui 1.500 euro al mese più straordinari e premi produzione».
Ma, per vivere a Bologna, non basta. «Per un bilocale i prezzi viaggiano sugli 850 euro al mese. Non avendo patente e auto la scelta delle zone in cui abitare è limitata a quelle servite dai mezzi pubblici, le più ambite. I proprietari, però, chiedono fino a sei mensilità di garanzia e, con i 650 euro al mese che restano dall’affitto, pagare bollette e la spesa alimentare per due diventa difficile, figuriamoci allargare la famiglia». Così, Y. si è dimesso, nonostante la rete di aiuti che si era creata attorno a lui: «Vado in Francia, dove spero di costruirmi un futuro», ha detto, rassegnando le dimissioni al titolare, affranto.
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