venerdì 6 gennaio 2017
Lavoro dignitoso e crescita economica sono l'ottavo obiettivo di sviluppo sostenibile dell'Onu. A Gaza l'Ilo insegna ai giovani pescatori riparare i motori e migliorare le tecniche di pesca.
Le barche che danno speranza a Gaza
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Lavoro dignitoso e crescita economica. Visti i tempi non sono certo obiettivi facili da raggiungere verrebbe da dire. Ma è fondamentale perseguirli con decisione. Così ecco che il Goal 8 degli obiettivi sostenibili dell’Onu punta ad aggregare lo sviluppo economico e il lavoro. Un binomio necessario per incentivare una crescita duratura, inclusiva e sostenibile affiancandola a un’occupazione piena e produttiva che vada di pari passo con un lavoro dignitoso. Un obiettivo coerente con buona parte della strategia 'Europa 2020'. Per quello che concerne lo sviluppo economico nel mirino finiscono la crescita economica pro-capite e la produttività a livello quantitativo mentre, a livello qualitativo, si punta a politiche di supporto alle attività produttive, alla creazione di lavoro dignitoso, all’imprenditorialità, alla creatività e all’innovazione per favorire la crescita delle micro, piccole e medie imprese – anche attraverso l’accesso a servizi finanziari adeguati – e al disaccoppiamento, non più rimandabile, della creduttivo giovanile. scita economica dal degrado ambientale. Riguardo al tema lavoro, quantitativamente l’obiettivo da centrare sono la piena occupazione, la dignità del lavoro stesso e la parità di retribuzione in caso di uguale tipologia di lavoro. Ma anche la riduzione dei giovani che non studiano né lavorano, una 'piaga' sempre più diffusa. Qualitativamente, invece, andranno eliminate le forme di sfruttamento – altra piaga presente in alcune parti del mondo pro- – e, al contempo, si punterà alla protezione dei diritti di tutte le categorie dei lavoratori. In particolare è il lavoro minorile una delle grandi tragedie che l’Onu si è impegnata a combattere. Per fare ciò si potrà puntare anche su elementi quali la promozione del turismo sostenibile, l’ampliamento dell’accesso ai servizi bancari, assicurativi e finanziari, l’aumento degli aiuti per il sostegno al commercio, lo sviluppo e l’attuazione degli accordi internazionali in materia di occupazione non necessariamente intesa come giovanile.


Pescare a Gaza è diventato un lussuoso passatempo e non più un modo per guadagnarsi da vivere. «Quando c’è, il margine di guadagno non supera i 10 dollari al giorno - denuncia Mohammed al Souna pescatore gazawi di 38 anni, padre di sei figli – ma spesso il costo del carburante supera i ricavi e in molti, soprattutto tra i giovani, hanno abbandonato il mare», spiega senza stupore. Si distinguono, tra questi, trenta ragazzi, ex disoccupati, rientrati nel programma di sviluppo della pesca dell’Ilo, Organizzazione mondiale del lavoro delle Nazioni Unite. Sono stati addestrati a riparare i motori delle imbarcazioni (i tradizionali hasakas, pescherecci bicolore, non più lunghi di sei-otto metri fatti di legno e resina). Dall’affollato porto di Gaza City, i pescatori escono ogni notte prima che la luce del sole permetta ai pochi pesci rimasti vicino alla riva di mettersi al riparo. Era nato come un progetto di un anno solo, nel 2013, ma poi l’Ilo ha deciso di prolungare il programma d’aiuto finanziato dal Kuwait, soprattutto dopo gli effetti nefasti dell’ultima guerra tra Israele e Gaza scoppiata nell’estate del 2014.


Uno studio delle nazioni unite ha stimato che ogni giorno di conflitto è costato circa 15.000 dollari di mancato guadagno al settore ittico. In tempi di armi che tacciono, al momento, la speranza si riaffaccia tra i gazzawi assetati di normalità. Costruzione di magazzini per lo stoccaggio del pesce, riparazioni di reti, tecniche di buona conservazione del pesce, ma soprattutto, nozioni meccaniche per aggiustare i motori dei motoscafi, sono queste le principali attività in cui sono stati impegnati i trenta ragazzi durante lo svolgimento dei corsi svolti finora. «Il nostro obbiettivo principale resta la creazione di nuovi posti di lavoro – spiega Hans Roland, dall’ufficio comunicazione dell’Ilo – consapevoli che il settore ittico è uno dei più importanti dell’economia di Gaza. Col suo indotto – aggiunge Roland – potrebbe infatti creare 4.500 posti di lavoro in una terra dove c’è il tasso di disoccupazione più alto al mondo». Il 44 per cento della popolazione di Gaza non ha lavoro, tra gli under 30, i disoccupati raggiungono persino il 60 per cento. Più in generale è la miseria la piaga peggiore che ha fatto della Striscia una delle aree più disperate della Terra con quattro cittadini su dieci che vivono sotto la soglia di povertà, nonostante l’80 per cento degli abitanti riceva aiuti umanitari. Fortemente danneggiata dai recenti conflitti armati e dall’embargo imposto da Israele, l’economia di Gaza – ricorda l’Ilo – è ridotta a una frazione di quello che potrebbe essere potenzialmente. Gli accordi di Oslo firmati nel 1993 tra Israele e Autorità palestinese prevedono la possibilità per i pescatori arabi di spingersi fino a 20 miglia dalla costa.

Tutto è cambiato però nel 2007, con l’arrivo al potere del partito radicale Hamas, il limite è passato a tre miglia per ragioni di sicurezza. In alcuni periodi le autorità di Tel Aviv hanno concesso ai pescherecci di spingersi fino a sei miglia dalla costa. «Per fare profitto bisogna allontanarsi almeno di 10 miglia» spiega al Souna ricordando che vicino alla riva non si trovano che sardine. Secondo stime Onu, prima del 2007 Gaza produceva 1.800 tonnellate di pescato all’anno, a fronte delle 400 odierne. Il numero dei pescatori è quindi passato da 10.000 di una volta ai 3.000 attuali. Il prezzo delle sardine, a causa delle restrizioni, è passato da 2,5 a 5 dollari al chilo, un raddoppio, dovuto anche all’aumento del costo del carburante, visto di cattivo occhio dai pescatori stessi.

La pesca locale, ammette Mohammed al Souna, non risponde che al 20 per cento della domanda interna. Grandi quantità di pesce vengono acquistate proprio in Israele, specialmente durante la festività del Eid del Fitr, a fine Ramadan, quando i gazawi consumano all’incirca 5 chili di pesce a famiglia. La tradizione vuole infatti che il primo venerdì dopo la fine del mese di digiuno si mangi il fesikh (una specie di piccolo dentice allungato) fritto con pomodori e aglio. «Anche le famiglie più povere non badano a spese – riprende il pescatore – e il mercato di Gaza City si riempie di surrogati di fesikh precongelati e già impanati, pronti per la frittura». Un insopportabile paradosso per gli arabi, se si pensa che il mercato del pesce di Gaza era il più rinomato di tutta la regione. Prima che la Striscia fosse isolata militarmente, gli israeliani stessi andavano a comprare i famosi gamberetti gazawi, violando le ferree abitudini kosher della religione ebraica che vietano il consumo dei pesci senza spina. Se arrivassero tutti i 3,5 miliardi di dollari promessi dalla comunità internazionale per la ricostruzione dopo la guerra della 2014, ricorda l’Ilo, questo e altri progetti potrebbero ridare speranza a Gaza. Anche se, come ha sottolineato la Banca mondiale, l’economia della Striscia non può sopravvivere senza collegamenti col resto del mondo.

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