Sarà un primo maggio di lavoro. Ma forse anche il primo in cui si sciopera. A Milano e Firenze, dove lo scontro sull’apertura dei negozi durante la festa non ha trovato finora soluzioni, i sindacati del commercio hanno confermato la protesta. La «querelle» del primo maggio, che quest’anno cade pure di domenica, coinvolge e divide trasversalmente il Paese: è ancora la festa del lavoro o solo una festività lavorata, come sempre più spesso accade nell’anno? Nell’Italia dei litigi no-stop anche questo è diventato motivo di scontro, forse meno banale di altri. Conta più la libertà 'di' shopping, in nome del mercato, o quella 'dallo' shopping, in nome di valori non monetizzabili? Gli schieramenti sono divisi. A cominciare da quello dei sindaci, che sul territorio hanno adottato decisioni diverse, per arrivare alle parti sociali e alla politica. Tanto che oggi, solo poche ore prima della festività contesa, il sindaco di Torino Sergio Chiamparino ha convocato in qualità di presidente dell’Anci i sindacati e le associazioni di categoria. Si punta a trovare in extremis «soluzioni condivise tra tutte le parti». Da parte sua il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi chiede «duttilità» nel commercio e dà via libera ai negozi aperti nel giorno di festa, a patto cha si tratti «dell’eccezione che conferma la regola» del riposo.
Chi apre e chi no. Negozi aperti a Milano, dove comanda il centrodestra di Letizia Moratti, e nella Firenze guidata dal rottamatore Pd Matteo Renzi. Aperture limitate al solo centro storico a Roma, teatro quest’anno di un evento come la beatificazione di Papa Giovanni Paolo II, oltre che del tradizionale concertone del primo maggio. Decisione analoga a Torino, dove si celebrano i 150 anni dell’Unità. Negozi chiusi a Bari, Genova e Perugia. A Napoli la decisione di alzare le saracinesche è affidata alle singole organizzazioni dei commercianti nei diversi quartieri, cumuli di spazzatura permettendo.
Imprese e sindacati. Le associazioni nazionali del commercio non parlano la stessa lingua. Confcommercio si schiera per la festa lavorata, Confesercenti è molto più cauta. «È il mutamento degli stili di vita e di consumo delle famiglie a sospingere la richiesta di apertura», sostiene il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli ricordando anche la necessità di contrastare «la persistente stagnazione» dei consumi. I cugini di Confersercenti rilevano invece che le deroghe per lavorare dovrebbero essere limitate mentre «si è fin troppo largheggiato e ormai la stragrande maggioranza dei Comuni è classificata come turistica con conseguente abbuffata di aperture domenicali». Le divisioni nel settore riflettono anche le esigenze differenti tra grandi e piccoli esercizi. Per le piccole strutture la giornata di lavoro in più ha senso solo in presenza di una «vivacità» festiva del quartiere mentre i big hanno comunque una loro attrattività. Tra i sindacati, la Cgil ha alzato la bandiera del diritto alla festa senza se e senza ma. Mentre la Cisl chiede soluzioni concertate e boccia i sindaci decisionisti, come Renzi e Moratti, che hanno fatto tutto da soli. «La formula corretta sarebbe quella di incontrare le parti per tempo e preparare un piano per il commercio tenendo conto degli specifici bisogni del territorio, dei lavoratori e dei cittadini», spiega Anna Maria Furlan segretario confederale Cisl, augurandosi che sia «l’ultima volta che viene organizzato un vertice l’ultimo giorno». Il numero della Cgil Susanna Camusso accusa chi gioca la carta della crisi per sostenere la necessità di lavorare: «È assolutamente stravagante in tutta questa polemica sostenere che il calo dei consumi nel nostro Paese sia determinato dal fatto che non si aprano i negozi nei 5 giorni festivi dell’anno. La crisi è determinata dal fatto che ci sono sempre meno risorse».
I casi Milano e Firenze. Nel mirino della Camusso soprattutto i sindaci delle due città che si sono più esposti per le aperture. Di fatto è stato il sindaco Renzi ad aprire la querelle, dando libertà di scelta ai commercianti in nome di un migliore accoglienza dei turisti. Una decisione contrastata dai sindacati e contestata a sinistra anche se c’è chi ricorda che il padre della liberalizzazione degli orari commerciali è il leader del Pd, l’ex ministro Pierluigi Bersani. Sulla linea di Renzi si è subito attestata Letizia Moratti a Milano. Qui i sindacati contestano al sindaco di avere cambiato idea sul primo maggio rispetto al piano concordato nel novembre scorso. Così hanno proclamato lo sciopero, come in Toscana. Oggi al vertice si capirà se c’è ancora spazio per la mediazione.