Sulle pensioni si consuma la partita decisiva del governo Berlusconi. Oggi come nel 1994, insomma, la storia si ripete. Il Cavaliere gioca la carta della disperazione tentando di prendere tempo e affidandosi a una legge delega o comunque a un primo documento più generico, "canali" che però hanno emtrambi il vizio di comportare tempi più lunghi per l’approvazione e si scontrano con la ferma volontà dei
partner Ue di avere subito misure concrete.Non si parla più, però, di portare l’età per tutti a 67 anni, come Berlusconi aveva accennato domenica sera a Bruxelles. L’obiettivo per ora è più modesto: 62 anni per le pensioni d’anzianità. Il grande negoziato fra Berlusconi, il super-ministro dell’Economia Giulio Tremonti e la Lega Nord, proseguito dopo il primo Consiglio dei ministri di ieri sera, si trascina sull’asse di misure già più volte dibattute nei mesi scorsi. In primo piano figurano una stretta sulle pensioni anticipate - indicate durante il Consiglio Ue di domenica come un caso ormai unico in Europa - e di reversibilità, mentre minori
chances ha un ulteriore anticipo dell’innalzamento dell’età pensionabile delle donne nel settore privato, per allinearla ai 65 anni.Per l’anzianità (ovvero per quegli assegni che si prendono prima dei 65 anni), la mediazione su cui si è lavorato nella notte consiste nell’eventuale ritorno alla riforma Maroni del 2004, che all’epoca era il ministro del Lavoro, quella - per intenderci - dello "scalone" (il passaggio da 57 a 60 anni dal 2008): quindi un intervento che, essendo stato già accettato dalla Lega una volta, potrebbe essere "sostenibile" anche stavolta per il Carroccio. In particolare, la legge del 2004 (poi sostituita dal governo Prodi con un intervento più attenuato firmato dal ministro Cesare Damiano) aveva già previsto che nel 2011 si potesse lasciare il lavoro solo con un’età minima di 61 anni (62 per gli autonomi), età aumentabile di un anno nel 2014 e che oggi rappresenterebbe comunque un inasprimento di un anno rispetto ai 60 anni della normativa in vigore (che prevede fino a fine 2012 la "quota 96" come
mix di anzianità contributiva ed età, con un minimo appunto di 60 anni). Nella nuova versione, ovviamente, non ci si potrebbe fermare però a questo gradino: l’aumento ai 62 anni d’età minima dovrebbe scattare dal 2012. Il pacchetto dovrebbe essere completato poi dall’inserimento di un’età minima (sempre 62 anni?) anche per l’accesso alla pensione anticipata con 40 anni di contributi, che ora si può ottenere invece a qualsiasi età e spesso viene concessa ancora prima dei 60 anni. Proprio su questo punto il premier si scontra però con le resistenze maggiori di Bossi, fermamente intenzionato a difendere quei lavoratori (soprattutto del Nord) che mantengono questa facoltà. Attualmente le pensioni con 40 anni di contributi sono infatti circa i due terzi delle pensioni anticipate totali. E si calcola che un intervento su questa tipologia potrebbe facilmente fruttare oltre un miliardo di euro in tempi brevi. Naturalmente, va tenuto conto che a qualsiasi età fosse poi fissata per la pensione d’anzianità andrà sempre aggiunto il periodo della "finestra mobile" (12 mesi di attesa per i dipendenti, 18 per gli autonomi), introdotta un anno fa da Tremonti, e l’innalzamento dell’età legato alle attese di vità (scatterà dal 2013).Più difficile sembra essere un nuovo intervento (sarebbe il terzo in pochi mesi) sull’età di pensione delle donne nel privato, dove oggi il processo d’adeguamento è previsto a partire dal 2014, con l’arrivo a regime nel 2026, così come su una misura più radicale tipo l’estensione del metodo contributivo pro rata, che limiterebbe per tutti l’importo degli assegni. Sulla reversibilità, infine, potrebbe essere fissata una durata minima del matrimonio per avervi diritto.