Le aziende hanno sempre più bisogno di competenze digitali e "verdi" - John Cabot University
L'Italia ha bisogno di competenze e professionalità che siano in grado di guidare un processo di crescita sostenibile, in termini ambientali, economici e sociali: sono gli strumenti chiave per garantire un impatto socioeconomico corretto. La transizione energetica deve rappresentare anche una "rivoluzione" sociale, culturale e dei mercati e il capitale umano è chiamato a svolgere, in questa rivoluzione, un ruolo fondamentale. La transizione ecologica prevede l'eliminazione delle attività lavorative inquinanti richiedendo lo sviluppo di nuove competenze e allo stesso tempo l'aggiornamento e la riconversione in chiave sostenibile di tutte le altre, favorendo così la creazione di nuovi posti di lavoro. A livello mondiale il bilancio sarà positivo, con sei milioni di posti persi entro il 2030 e 24 milioni creati. Nel nostro Paese è stimato un fabbisogno al 2025 da parte delle imprese e delle pubbliche amministrazioni pari a 2,2 - 2,4 milioni di lavoratori con requisiti digitali e "verdi". Tuttavia mancano le competenze. È una delle frasi più ricorrenti in cui ci s’imbatte quando s’affronta il tema del lavoro e della formazione. Questa volta a far scattare l’allarme è uno studio della Commissione Europea: il 77% delle aziende infatti afferma che ha grandi difficoltà ad assumere candidati con le competenze adeguate. Un problema da affrontare non solo nella fase d’ingresso nel mondo del lavoro, ma anche e soprattutto durante la vita professionale. In un contesto economico e tecnologico in continua evoluzione, diventa fondamentale aggiornarsi continuamente per rimanere al passo. È da questi presupposti che la Commissione ha dichiarato il 2023 Anno europeo delle competenze con l’obiettivo di promuovere la tendenza alla riqualificazione professionale e all’aggiornamento delle conoscenze, soprattutto per quanto riguarda le pmi, che costituiscono il 99% delle imprese continentali. Una pratica non comune nel contesto europeo, infatti secondo una ricerca Eurostat solo il 37% degli adulti segue abitualmente corsi di formazione. La Commissione vuole incoraggiare l'apprendimento lungo tutto l'arco della vita, stabilendo l’obiettivo del 60% degli adulti che dovrebbe partecipare ogni anno ad attività di formazione. In cima all’agenda le tematiche inerenti alla trasformazione digitale e la transizione ambientale. «Il tema della transizione energetica e delle competenze necessarie è più che mai al centro del dibattito pubblico e istituzionale e va affrontato fornendo soluzioni di natura non emergenziale ma strutturali e soprattutto con un approccio multidisciplinare - spiega Stefano Cuzzilla, presidente di Federmanager -. Il mercato del lavoro avrà sempre più bisogno di professionalità emergenti, mentre ogni anno cresce del 5% la domanda di competenze manageriali esperte in sostenibilità». Uno studio recente dell'Anpal conferma che nell'ambito della domanda di competenze riferite al 2021 connesse all'economia "verde", ben il 77% delle nuove assunzioni di dirigenti è legata a lavori "verdi" e il 78% dei contratti programmati dalle aziende italiane sono destinati all'assunzione di tali competenze.
Ecco le competenze più richieste
Tra le più richieste, secondo una ricerca condotta da Espresso Communication su fonti internazionali, troviamo analisi dei dati, sviluppo software e linguaggi di programmazione. E inoltre saper lavorare in gruppo e comunicare, scrivere in maniera eccellente, padroneggiare i social media e le nuove tecnologie. Sono queste, in estrema sintesi, le indicazioni fornite anche dalle Statistiche sul lavoro dei primi tre mesi del 2023 elaborate dal Centro di avviamento alla carriera della Jcu-John Cabot University di Roma. Nello specifico, i dati riguardano sia gli studenti dei percorsi di laurea triennale sia i neolaureati e i giovani col master. L’età è compresa tra i 20 e i 25 anni. Nei primi tre mesi del 2023, quasi la metà dei giovani ha ottenuto una posizione lavorativa nel settore Digitale e Innovazione. Si tratta del 44% e rappresenta la fetta più consistente della torta occupazionale, confermando in rialzo il dato definitivo del 2022 (43%). A seguire ci sono Attivismo e Ricerca, 23%; Formazione, Scrittura e Traduzione, 17%; Finanza e Contabilità, 11%. Anche nel 2019, cioè nel periodo ante Covid, la principale area di impiego risultava Digitale e Innovazione, ma col 24,9%. Ne consegue che negli ultimi quattro anni le opportunità occupazionali in questo settore sono aumentate costantemente, staccando di gran lunga le altre aree. Veniamo alle competenze più richieste da aziende, istituzioni, enti pubblici e privati. Sono differenziate in tecniche (hard) e in trasversali o morbide/comportamentali (soft). Le competenze tecniche più richieste riguardano il saper padroneggiare, nell’ordine: i social media, le nuove tecnologie, i software di analisi dati (R, Python, Stata), i software di video e foto editing, le piattaforme di Crm (Customer Relationship Management). La competenza soft più ricercata è il saper lavorare in gruppo (teamwork). E poi possedere, nell’ordine: eccellenti capacità di scrittura, doti comunicative e relazionali, attitudine al problem solving, proattività. Il Centro di avviamento alla carriera della Jcu organizza tre Career Fair (o Fiere del Lavoro) l’anno e conta 756 aziende partner (erano 650 prima del Covid), nazionali e internazionali. Nel corso di questi appuntamenti i giovani incontrano direttamente i responsabili delle assunzioni delle imprese, potendo effettuare anche più colloqui nella stessa giornata. Nei primi tre mesi del 2023, l’87,7% dei giovani (quindi nove su dieci) ha ottenuto una posizione lavorativa nel corso dei Career Fair, o al termine di un colloquio seguito a una candidatura inviata dal Centro di avviamento alla carriera. Prima del Covid la percentuale era del 76%, a significare una tendenza in decisa crescita. «Considerando che l’intelligenza artificiale sta dilagando, impadronendosi delle occupazioni svolte dall’uomo, anche e soprattutto di quelle creative come la redazione dei testi - sottolinea Antonella Salvatore, docente di Marketing e direttrice del Centro di avviamento alla carriera della Jcu - emerge da questi dati quanto per i giovani siano ancora basilari le doti relazionali, il saper scrivere molto bene in italiano (la conoscenza dell’inglese si dà per scontata), avere la capacità di escogitare soluzioni, piuttosto che rimuginare sui problemi. Risulta allo stesso tempo importante saper padroneggiare tutto ciò che di nuovo, giorno dopo giorno, fornisce la tecnologia. Dobbiamo prendere atto che i lavori mutano di continuo e sempre più velocemente. Per gli studenti è quindi fondamentale imparare ad adattarsi ai cambiamenti. Di conseguenza, l’università deve impegnarsi, sempre di più, nell’insegnamento delle soft skills e del pensiero critico».
La situazione in Italia
Il Rapporto Censis-Ugl Il lavoro è troppo o troppo poco? Restituire valore e dignità al lavoro per superare contraddizioni e paradossi evidenzia come il mancato incontro tra domanda e offerta di lavoro generi disoccupazione, precariato, povertà e posizioni scoperte, penalizzando soprattutto i giovani che sempre di più scelgono di andare all’estero. Allo stesso tempo, le imprese dichiarano di avere difficoltà a rispondere ai loro fabbisogni occupazionali. L’obiettivo prioritario del nostro Paese deve essere, quindi, quello di trattenere in Italia forza lavoro e di far coincidere la domanda con l’offerta. Il tasso di disoccupazione dei giovani tra i 15 e i 34 anni è del 14,4%, mentre quello giovanile in senso stretto (15-24 anni) è al 23,7%, a fronte di un tasso medio dell’8,1%. Il 39,3% dei giovani che lavorano, oltre 2 milioni in valore assoluto, svolge lavori cosiddetti non standard perché a termine e/o part time, che non garantiscono la retribuzione e la stabilità necessarie ad avere un tenore di vita adeguato e, soprattutto, a fare progetti per il futuro. L’overeducation, vale a dire il mancato allineamento tra il livello di studi raggiunto e la professione svolta, in Italia riguarda un lavoratore su quattro ed è inversamente proporzionale all’età posseduta: è il 37,5% tra i giovani in età compresa tra i 25 e i 34 anni e il 44,3% tra gli under 25enni. Il 93,5% degli italiani è convinto che gli stipendi sono troppo bassi. L’Italia è l’unico dei Paesi Ocse che negli ultimi trent’anni ha avuto una riduzione in termini reali delle retribuzioni del 2,9%. Negli ultimi dieci anni oltre un milione di italiani si è trasferito all’estero: uno su quattro era laureato e uno su tre aveva tra i 25 e i 34 anni. Il fenomeno non è destinato ad esaurirsi: il 47,3% degli italiani dichiara che se ne avesse la possibilità se ne andrebbe dall’Italia, con percentuali che raggiungono il 60,6% tra i più giovani. Il 68,1% della popolazione pensa che l’Italia non sia un Paese per i giovani e l’88,5% è convinto che all’estero il lavoro sia pagato meglio e siano più valorizzate le competenze. Ma mentre i giovani diminuiscono, i pensionati sono 14 milioni e 895 mila e nel 2040 saranno più di 17 milioni, con un aumento di due milioni e 246 mila pensionati. Inoltre il Pnrr stabilisce che i giovani siano una priorità trasversale a tutti gli interventi e prevede una crescita dell’occupazione dei 15-29enni del 3,2% nel biennio 2024-2026 e dello 0,5% in quelli successivi. Da notare che si affaccia sul mercato del lavoro la generazione più scolarizzata di sempre: il 76,8% dei giovani sotto i 34 anni è almeno diplomato (20 anni fa era il 59,3%) e il 28,3% è laureato (20 anni fa il 10,6%). Di qui al 2027 si prevede un fabbisogno di circa tre milioni e 800mila lavoratori tra settore privato (che assorbirà l’80,6% del totale) e pubblica amministrazione. Tuttavia l’85,9% degli italiani, che sale all’87,5% tra gli occupati, è convinto che la scuola sia distante dal mondo del lavoro. Pochi laureati, ma troppi nelle discipline umanistiche, della formazione e dell’insegnamento, del gruppo psicologico. Il prossimo anno mancheranno all’appello oltre 12mila medici e laureati in professioni sanitarie, oltre 8mila del gruppo economico e statistico, oltre 6mila laureati Stem, oltre 3mila laureati in discipline giuridiche e politico-sociali. Troppi diplomati nei licei, con un esubero di 53mila l’anno, mentre mancheranno 133milka diplomati degli istituti tecnici e professionali e qualificati nel sistema della formazione professionale. In futuro saranno sempre più richieste competenze trasversali. Il 65% dei posti di lavoro avrà bisogno di competenze "verdi" connesse al risparmio energetico e alla sostenibilità ambientale, e il 56,3% dei nuovi posti avrà bisogno di competenze digitali.
Il 50% dei lavoratori a rischio
Secondo il World Economic Forum, con la digitalizzazione, entro il 2025 oltre il 50% dei dipendenti dovrà aggiornare o resettare le proprie competenze. Pena, il rischio di perdere il proprio lavoro. Tant’è che i responsabili delle Risorse umane iniziano a parlare di Job Reset, ossia della necessità di ridisegnare ruoli e attività. Ma il digitale è in grado di generarne anche di nuovi e, soprattutto, le aziende possono accompagnare i collaboratori lungo un percorso di riqualificazione professionale. Per Katie Fallone, Senior Director of Global Marketing and Revenue Operations di Voxy (voxy.com), «solo il 2% delle aziende al mondo afferma di avere un programma di aggiornamento o riqualifica professionale in fase matura. Senza questi, le aziende rischiano di non stare al passo con il mercato ormai globale. Le ricadute peggiori sono sui lavoratori». «Con il lancio di ChatGpt e di altri programmi a base di intelligenza artificiale, la tecnologia sta facendo progressi significativi. E inevitabilmente, insieme a lei, si sta trasformando anche il modo in cui lavoriamo. I team Hr e di formazione e sviluppo possono avere un enorme impatto nel preparare le aziende ad affrontare il futuro, ma il processo richiederà lavoro e impegno a livello esecutivo per prevedere questi cambiamenti e mettere in atto piani di upskilling e reskilling ad hoc. Ma perché le aziende accolgano e si preparino al prossimo cambiamento, devono prima identificare quei lavori a maggior rischio di automazione e iniziare a pensare a come questi team possano essere riconvertiti per prosperare in altre aree del business. Allo stesso tempo, le imprese devono assicurarsi che i loro leader e manager siano dotati delle competenze di cui avranno bisogno per gestire il cambiamento e l’incertezza, mantenendo i dipendenti impegnati e produttivi. Solo il 2% delle aziende al mondo afferma, però, di avere un programma di aggiornamento o riqualifica professionale in fase matura. E, ahimè, con la digitalizzazione, entro il 2025 oltre il 50% dei dipendenti dovrà aggiornare o resettare le proprie competenze. Pena, il rischio di perdere il proprio lavoro. Tant’è che gli esperti iniziano a parlare di Job Reset, ossia della necessità di ridisegnare ruoli e attività. Ma il digitale è in grado di generarne anche di nuovi e, soprattutto, le aziende possono accompagnare i collaboratori lungo un percorso di riqualificazione professionale», dichiara Fallone.
Il coaching a supporto della trasformazione organizzativa
Oggi non c’è settore che non sia soggetto a volatilità. Specie dopo la pandemia, le aspettative dei dipendenti e le esigenze sociali sono in continua evoluzione e rendono sempre più necessaria una trasformazione organizzativa dei luoghi di lavoro. Un’operazione che, come evidenziano gli esperti di CoachHub - la più grande realtà d’Europa specializzata nel coaching digitale - richiede un pensiero innovativo e una comprensione delle logiche alla base dei mutamenti in atto. Molte aziende cercano di prepararsi al meglio affinché il cambiamento avvenga in modo dinamico, reagendo puntualmente a eventi e necessità sia interne alle specifiche realtà sia esterne. Anche la rivoluzione tecnologica, ad esempio, ha trasformato il modo in cui le organizzazioni operano introducendo nuove soluzioni e possibilità digitali e sottolineando la crucialità di sviluppare competenze It sempre più aggiornate ed evolute. Secondo i dati dell’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano, l’Italia presenta al contempo una grande richiesta e una grande scarsità di tali competenze: una posizione aperta su cinque, infatti, riguarda proprio le capacità digitali e ben il 96% delle organizzazioni ha difficoltà a reperire e sviluppare le competenze necessarie per affrontare la trasformazione digitale. Inoltre, anche la riqualificazione della forza lavoro risulta molto complessa. Nell'arco di 1 o 2 anni, segnala l’Osservatorio, il 9% dei dipendenti dovrà essere riallocato perché non dispone delle skill necessarie a svolgere il proprio lavoro, percentuale che supera il 15% in oltre 1 organizzazione su 10. Il successo della trasformazione organizzativa, dunque, dipende dal modo in cui le aziende gestiscono le diverse forze del cambiamento ed è fondamentale averne una visione chiara per ottenere i risultati desiderati, senza dimenticare che tali transizioni impattano radicalmente anche sugli individui, non solo su sistemi e processi. Come evidenziano gli analisti di McKinsey, infatti, il 70% delle iniziative di trasformazione fallisce proprio a causa di problemi legati alle persone. Poiché un aspetto chiave della trasformazione risiede nel modo in cui questa viene comunicata, i leader devono far sì che i propri collaboratori sappiano esattamente perché vengono effettuati determinati cambiamenti, chi ne sarà interessato e in che modo. I leader devono accompagnare i dipendenti in questo percorso di mutamento, spiegando la nuova visione e descrivendo i vantaggi che ne deriveranno. Tuttavia, questa fase potrebbe creare delle difficoltà, in quanto non tutti condivideranno la visione del cambiamento o saranno allineati con gli interventi posti in essere dalla propria azienda. Come sottolineano gli esperti di CoachHub, una mirata trasformazione organizzativa opportunamente supportata da percorsi di coaching per lo sviluppo della leadership che guida il cambiamento in azienda offre innumerevoli vantaggi, tra cui:
• favorire la comprensione e il confronto sul posto di lavoro, in quanto attraverso il coaching viene sottolineata l’importanza che in azienda si creino ambienti inclusivi e sicuri dal punto di vista psicologico;
• aumentare la resilienza del team, rendendolo più resistente di fronte alle costanti e molteplici esigenze di evoluzione e adattamento che il mondo del lavoro attuale richiede;
• creare un ambiente di lavoro in cui i conflitti, che possono essere causati dalle tensioni naturali suscitate dal cambiamento, sono affrontati e risolti in modo efficace e costruttivo;
• migliorare le performance dei dipendenti e contribuire a un maggiore allineamento tra le esigenze dei collaboratori e quelle dell’organizzazione, nonché a un’adesione più forte alla strategia organizzativa.
Un programma di trasformazione all’interno di un’organizzazione non si limita a modificare gli elementi periferici, bensì offre un’opportunità di evoluzione a 360 gradi. Il coaching può giocare un ruolo fondamentale e aiutare i leader, i dipendenti e le organizzazioni nel loro complesso a ottenere i migliori risultati possibili da tale transizione, in quanto permette di analizzare ed esplorare il contesto di lavoro, immaginare nuovi possibili scenari di cambiamento, considerare una varietà di percorsi e comportamenti per contribuire positivamente al programma di trasformazione e, infine, individuare le misure pratiche da adottare. In questo modo, l’implementazione del coaching nell’ambito di un programma di cambiamento consentirà ai leader e ai collaboratori di comunicare e comprendersi meglio, favorendo la riflessione su sé stessi e l’ascolto attivo per valorizzare appieno il potenziale individuale e collettivo di un’azienda.