Continua la fuga dei cervelli - Archivio
Continua la fuga degli italiani all'estero. Secondo i dati riportati dall’Aire-Anagrafe degli italiani all’estero, sono sei milioni 134 mila gli italiani che vivono fuori dal Bel Paese. Lo scorso anno sono espatriati 89.462 italiani, il 9,1% in più rispetto al 2022, anche se non si è ancora tornati agli alti livelli pre-pandemia. Migrano i giovani, ma anche gli over 65. Emerge il fenomeno della propensione all'espatrio verso altri Paesi europei dei "nuovi italiani", ossia gli immigrati che hanno acquisito la cittadinanza in Italia. Ed è boom delle acquisizioni di cittadinanza per discendenza. Il 23,2% di chi risiede all'estero ha tra i 35 e i 49 anni; il 21,7% appartiene alla fascia di età 18-34 anni e il 19,5% a quella 50-64 anni. Il 14,6% di chi è all'estero è minorenne, mentre gli anziani sono il 21%. Nel decennio 2013-2022, la perdita complessiva di giovani laureati nella classe di età 25-34 anni a favore dell'estero ammonta nel Nord a circa 43mila unità, nel Centro è di circa 14mila unità, mentre nel Mezzogiorno è uguale a circa 30mila unità. Lo registra il Rapporto italiani nel mondo 2024. Tuttavia, le perdite di popolazione dovute allo scambio con l'estero possono essere compensate dai trasferimenti di residenza tra le ripartizioni del Paese. Il movimento di giovani che si spostano dal Mezzogiorno verso il Centro-Nord riesce, talvolta, a invertire il saldo negativo complessivo di queste ripartizioni trasformandolo in guadagno di popolazione. È quello che accade infatti nel Nord e nel Centro che, durante il decennio considerato, attraggono rispettivamente oltre 125mila e oltre 13mila giovani provenienti dal Sud. Ne deriva che il beneficio complessivo per le regioni è pari, al netto delle uscite, a circa 82mila unità, mentre il Centro recupera parzialmente e limita la perdita a circa 900 unità. Le uscite dal Mezzogiorno verso l'estero e verso le altre regioni d'Italia, invece, determinano una perdita complessiva di poco più di 168mila giovani residenti laureati.
Ma perché il mercato del lavoro in Italia continua a essere poco attrattivo? Sempre più giovani varcano il confine nazionale poiché all’estero trovano stipendi più alti e migliori opportunità di carriera. È quanto emerge da recenti studi e dall’esperienza di Reverse, società internazionale di Head Hunting e Hr. «Siamo quotidianamente in contatto con le nuove generazioni nei diversi contesti lavorativi europei - e non solo - e molto spesso durante i colloqui incontriamo giovani talenti che si candidano per posizioni fuori dall’Italia - spiega Federica Boarini, Head of International Development di Reverse -. Quando indaghiamo sulle motivazioni che li spingono a lasciare il Bel Paese notiamo come siano determinanti le opportunità di crescita e la Ral che viene offerta all’estero. Da una prospettiva Hr il fenomeno mette in evidenza importanti lacune strutturali e culturali che il sistema italiano è chiamato oggi più che mai a dover considerare”.
Anche da un recente report di Fondazione Nord Est sui giovani italiani che emigrano, nello specifico della ricerca si fa riferimento alle regioni settentrionali, è emerso come gli expat diano grande importanza alla meritocrazia e vadano all'estero in cerca di opportunità di lavoro migliori, perché non trovano un ambiente positivo nelle imprese italiane con equilibrio vita-lavoro e una retribuzione congrua. L'85% degli intervistati pensa infatti che la meritocrazia sia minore in Italia rispetto agli altri Paesi. Il 68,3% dei giovani italiani all’estero sono emigrati proprio per motivazioni legate al lavoro o allo studio, e il 25,8% lo ha fatto per trovare una migliore qualità della vita.
Oltre a quanto rilevato, il divario principale riscontrato è negli stipendi base che vengono assegnati a inizio della carriera lavorativa. Se si considera il caso di un sales manager, in Italia generalmente lo stipendio di entrata di uno studente che ha appena terminato l'Università è di 25mila euro lordi, mentre in Francia si parte da almeno 32mila euro e in Germania da 35mila, ma anche 40mila a fronte anche di una tassazione simile. Altro esempio è la figura del contabile: anche qui su territorio nazionale si parte da 25mila a 35mila euro, in Germania da 40mila fino ad arrivare a 60mila euro di base, mentre in Francia tra i 35mila e i 45mila euro circa.
Un altro aspetto di differenza fra l’Italia e gli altri Paesi è nelle opportunità di crescita professionale: innanzitutto, è facile crescere rapidamente all’estero, ed è poi comune vedere percorsi di carriera non lineari, dove una persona può passare da un settore all’altro o da un ruolo tecnico a uno manageriale molto più facilmente e rapidamente. Questo permette a molti di accelerare il proprio percorso professionale, è infatti frequente vedere giovani in posizioni di leadership. Da cosa dipende questo? Da un lato da una fiducia maggiore verso le generazioni più giovani, dall’altro la presenza di un mercato del lavoro più flessibile in riferimento proprio alla tipologia di contratti. In Italia esiste la possibilità di assumere con contratto determinato, perché l’indeterminato è molto vincolante per l’azienda, mentre - per esempio in Germania e in Francia - licenziare anche con un contratto indeterminato è molto più facile.
«Cosa possono fare le aziende per non perdere la loro attrattività e per evitare la fuga all’estero dei giovani talenti? Sicuramente un primo passo potrebbe essere quello di focalizzarsi sulla meritocrazia implementando sistemi di valutazione basati su obiettivi chiari come Okr o Kpi e creare opportunità di crescita trasparenti. Adottando un sistema standard per obiettivi si possono superare alcune delle maggiori resistenze che si incontrano nelle nuove generazioni come la richiesta di una crescita strutturata e una comunicazione trasparente che agevoli un ambiente di lavoro sano. Per gli stipendi ancora molto c’è da fare, ma queste sono problematiche più ampie a cui le aziende possono rispondere solo in parte», conclude Boarini.