martedì 24 agosto 2010
I tre operai licenziati dallo stabilimento Fiat di Melfi e reintegrati dal giudice del lavoro non potranno tornare in catena di montaggio: la decisione dell'azienda ha indotto la Fiom a far nuovamente uscire dai cancelli i tre operai e ad annunciare una denuncia penale nei confronti della Fiat. E i tre si appellano a Napolitano.
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Sono rientrati in fabbrica, ma ne sono riusciti dopo nemmeno un’ora e mezza. La resa dei conti s’è consumata, sotto il sole nella piana di San Nicola, dove sorge la fabbrica Sata di Melfi, scrivendo un nuovo capitolo: i tre operai licenziati dalla Fiat e reintegrati dal giudice sono tornati ieri nell’impianto, ma l’azienda (che sabato aveva chiesto loro di non presentarsi) ha confermato che non intende farli lavorare. La Fiom ha subito indetto uno sciopero di un’ora e fatto una denuncia penale, mentre i tre lavoratori si appellano ora al capo dello Stato.La sfida va avanti, dunque. Con i sindacati compattati nell’esigere il reintegro (anche se con distinguo fra la Cgil, per il cui leader Guglielmo Epifani «così Marchionne danneggia la Fiat», e Cisl-Uil) e la Fiat che replica sostenendo che sono «pienamente legittimi» i provvedimenti adottati. Il duello sembra destinato a proseguire a lungo. Almeno fino al 6 ottobre, data in cui sarà discusso il ricorso del gruppo torinese contro la prima decisione dei magistrati.I tre protagonisti si sono presentati davanti ai cancelli già ben prima dell’una (il loro turno cominciava alle 14), accolti da una ressa di giornalisti, fotografi e cineoperatori. Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli (i primi due sono delegati della Fiom-Cgil) si sono presentati accompagnati dai loro avvocati. E assieme, al cambio turno, alle 13 e 30 hanno varcato la soglia dello stabilimento del potentino. Con loro l’ufficiale giudiziario Francesco D’Arcangelo, incaricato di notificare la sentenza di reintegro del 9 agosto. Una volta entrati, però, sono stati fermati nel "gabbiotto" dei vigilanti, dove poco dopo è stato comunicato loro da parte dell’azienda che veniva vietato l’accesso alle postazioni della catena di montaggio (dove viene assemblata la "Punto Evo"). La linea della Fiat-Sata è stata: i tre possono stazionare solo in una saletta e svolgere attività sindacale, ma non possono lavorare. L’avvocato della Fiom ha subito risposto picche: «Non è così che si rispetta la sentenza», ha spiegato Lina Grosso.Tutti fuori dalla fabbrica, allora. Per una battaglia che si sposta sempre più sul piano legale. Due le contromosse annunciate: la richiesta al giudice, Emilio Minio, di dettagliare i termini del reintegro deciso il giorno 9; poi una denuncia penale, presentata già nel pomeriggio alla locale stazione dei Carabinieri, contro la Fiat. Da Torino, la casa madre ha replicato con un comunicato: non solo per definire legittima la sua decisione, ma per dirsi certa che vi sono stati «comportamenti di estrema gravità» e che pertanto l’udienza del 6 ottobre stabilirà che i tre in questione attuarono «un volontario e prolungato illegittimo blocco della produzione», e non si limitarono all’«esercizio del diritto di sciopero» (i tre sono incolpati appunto di aver bloccato un carrello-robot durante una manifestazione sindacale).Inevitabili, e immediate, sono state le ripercussioni. Dentro l’impianto i metalmeccanici della Fiom-Cgil hanno proclamato uno sciopero per la prima ora del nuovo turno, dalle 14 alle 15, con un corteo interno al quale hanno partecipato i lavoratori, ma secondo l’azienda solo nella misura del 5,2%. All’esterno, invece, veniva attuato un volantinaggio in cui si chiedeva l’intervento di Giorgio Napolitano. Una posizione subito ripresa da Barozzino: «Gli lanciamo un appello: non ci faccia vergognare di essere italiani». Anche a nome dei suoi due colleghi, Barozzino ha annunciato l’intenzione di presentarsi «tutti i giorni per rivendicare i nostri diritti. Vogliamo solo il nostro lavoro».E mentre il Pd se la prende con la «gravissima latitanza del governo», nel sindacato emergono i distinguo. Per Epifani, così «si offende la dignità dei lavoratori» e si «usa la forza senza ragione». Anche per Raffaele Bonanni «Fiat sta sbagliando» e Marchionne «deve credere fino in fondo, come ha fatto a Detroit» in un nuovo modello, ma al contempo il leader della Cisl si appella all’ad della Fiat «affinché non cada nella trappola tesa dalla Fiom». Bonanni vorrebbe una parola più netta sulla Fiom da Epifani che, invece, si limita a ricordare alle sue "tute blu" che «su turni, orari e organizzazione un sindacato deve contrattare di tutto e di più». Anche per il giuslavorista (e senatore del Pd) Pietro Ichino, Fiat deve consentire un «ripristino totale» del rapporto di lavoro, mentre questa vicenda sta facendo «perdere di vista le ben più cruciali questioni del piano industriale» di Fiat. A meno che non sia proprio questo l’obiettivo, come ipotizza Carlo Scarpa, docente a Brescia: per lui «o la Fiat non crede nel progetto "Fabbrica Italia" e cerca lo scontro per ritirarsi dando la colpa al sindacato oppure Marchionne pensa di fare la Thatcher italiana e di cambiare da solo le relazioni sindacali nel Paese».
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