Se si guarda indietro vede la difficoltà a convincere gli investitori e poi una crescita quasi impetuosa; se prova a spingere lo sguardo nel futuro è convinto di vedere ancora una crescita e soprattutto una specializzazione e un’evoluzione. Rosario Rasizza, amministratore delegato di Openjob, legge così i primi 10 anni della sua azienda. Una tappa normale per qualsiasi impresa, ma che per un’Agenzia per il lavoro è quasi un’epopea per come questo segmento di mercato è nato e si è sviluppato nel nostro Paese.
Quali sono le difficoltà che avete affrontato?La prima è stata partire. Siamo una vera start-up e dunque abbiamo anzitutto dovuto convincere un gruppo di imprenditori a investire. Poi, appena partiti nel 2001 ci siamo trovati "sotto" il crollo delle Torri gemelle. Lo abbiamo superato ed è stato entusiasmante vedere il fatturato crescere da 1,5 milioni prima a 15 e poi a 33 milioni di euro. Quindi è stato il momento di iniettare nuove risorse ed è entrato il fondo di private equity "Wyisequity". E allora abbiamo potuto compiere ben 4 acquisizioni. Così il nostro fatturato è arrivato fino a un massimo di 210 milioni nel 2008.
E dopo è arrivata la grande crisi. Come l’avete affrontata? Ne siete fuori?Certo, è stata dura. Però abbiamo scelto, a differenza di altre Agenzie per il lavoro, di non ridurre il personale e di non ricorrere neppure ai contratti di solidarietà. Abbiamo chiesto ai nostri dipendenti diretti se erano disposti a rinunciare al 10% degli stipendi in cambio della conferma dei livelli occupazionali. Il sì ha raggiunto il 99,6%. E si è rivelata una strategia vincente perché appena nel 2010 si è profilata la ripresa, noi eravamo con la squadra al completo pronti a rispondere alle Pmi nostre clienti. Oggi abbiamo ripristinato il livello salariale, il fatturato del 2010 segna un +35% rispetto a quello del 2009 a quota 170 milioni, e gennaio 2011 sullo stesso mese dell’anno prima segna un ottimo +40%.
Insomma siete ottimisti, ma in Italia resta un pregiudizio negativo sulle Agenzie per il lavoro. Lo dimostra l’assalto subito da una filiale a Torino la scorsa settimana.È incredibile come dopo oltre 10 anni in Italia non si sia ancora compreso che la somministrazione non è lavoro precario o sottopagato, ma gode degli stessi salari e delle stesse condizioni di quello dei dipendenti. È a termine, certo, ma offre enormi possibilità di ingresso definitivo nelle aziende. Eppure in 10 anni ha mai visto un talk-show televisivo invitare un rappresentante delle agenzie del lavoro a parlare? C’è ancora un cambio di cultura da compiere.
A proposito, a un giovane che cerca un’occupazione quale consiglio darebbe?Di non cercare oggi il "lavoro della vita", ma "un lavoro". Di entrare in un’azienda, farsi apprezzare, fare esperienza. E solo dopo, semmai, muoversi alla ricerca di maggiori soddisfazioni. E poi, mi lasci dire, vanno abbassate certe pretese... il livello delle richieste che ci vengono da una parte dei giovani al primo impiego sono alte, davvero molto alte.