La giudice Carla Joustra prima della pronuncia della sentenza della Corte d'Appello - Reuters
Tre anni fa la sconfitta di Shell nella causa intentata dagli ambientalisti di Milieudefensie sembrava potere aprire una nuova era – giudiziaria – nella lotta al cambiamento climatico: i giudici del Tribunale dell’Aja avevano sancito che il gigante petrolifero era obbligato a tagliare le proprie emissioni dirette di CO2 del 45% rispetto ai livelli del 2019 e sforzarsi per ottenere lo stesso risultato anche per le emissioni “Scope 3”, quelle indirette, prodotte ad esempio dai motori delle auto di chi fa rifornimento alla Shell. Era una causa storica, perché per la prima volta si obbligava per via giudiziaria un’azienda a tagliare le emissioni secondo quanto ritenuto necessario dagli scienziati, a prescindere da quanto previsto dalle leggi.
Questo tipo di motivazione, piuttosto innovativa o ardita, a seconda dei punti di vista, era però evidentemente fragile sul piano legale: Shell ha fatto ricorso e la Corte d’appello dell’Aia le ha dato ragione. Nel merito, i giudici hanno confermato che Shell è obbligata a tagliare le proprie emissioni di CO2, ma sta ai legislatori europei e olandesi, stabilire quanto sia tenuta a ridurle: «La corte è giunta alla conclusione che Shell non può essere vincolata al consenso all’interno della scienza del clima su uno standard di riduzione del 45% (o qualsiasi altra percentuale) perché questa percentuale non si applica a ogni Paese e a ogni settore economico separatamente – hanno ricordato i giudici olandesi nelle loro conclusioni –. La Corte ha risposto negativamente alla domanda se sia possibile stabilire uno standard settoriale per il petrolio e il gas sulla base del consenso scientifico». Per quanto riguarda le emissioni indirette, inoltre, la Corte ritiene che obbligare Shell a un taglio specifico sarebbe inefficace, perché l’azienda «potrebbe adempiere a tale obbligo interrompendo il commercio dei carburanti acquistati da terzi. Altre società rileverebbero poi quel quel commercio. A conti fatti, non si otterrà alcuna riduzione delle emissioni di CO2».
Milieudefensie, che è la sezione olandese di Friends of the Earth e alla quale in questa causa si erano unite altre sei associazioni ambientaliste, ora ha la possibilità di fare ricorso alla Corte suprema olandese. «È una battuta d’arresto per noi, per il movimento per il clima e per milioni di persone in tutto il mondo che sono preoccupate. Ma chi ci conosce un po’ sa che non ci arrendiamo mai. Anche qui ne usciremo più forti insieme» ha detto il direttore dell’associazione, Donalds Pols.