"La crescita economica non è un fine in se stessa", dev'essere accompagnata dall'impegno a ridurre diseguaglianze e squilibri sociali. È il messaggio dall'Ocse, in uno studio presentato in apertura del Forum annuale. "La crescita economica ha il potenziale per dare a tutti migliori condizioni materiali, e per generare risorse che possono essere usate per raggiungere obiettivi sociali", spiega il rapporto, ma questo richiede un approccio che vada oltre le misurazioni "monetarie" e "a livello di individuo medio", tenendo conto anche dell' "impatto delle politiche sui diversi strati sociali". Il divario di ricchezza nelle economie avanzate è infatti "aumentato in modo sproporzionato, a solo beneficio dei più ricchi", negli ultimi 30 anni."Nel 1980, in nessun Paese Ocse l'1% più ricco della popolazione controllava più dell'8% della ricchezza totale ante imposte - sottolinea lo studio - nel 2010, in 9 Paesi sui 18 per cui abbiamo dati controllavano oltre il 10%, e negli Usa oltre il 20%". La crisi ha leggermente rallentato questo trend, ma le ultime analisi mostrano che l'effetto è "solo temporaneo", e l'allargamento del gap sta già ricominciando. Aumenta così la povertà relativa, cioè la quota di cittadini di un Paese che hanno un reddito inferiore alla metà del reddito mediano nazionale, che tocca oggi l'11% della popolazione Ocse, soprattutto "anziani, vedove, bambini e giovani".Le diseguaglianze però, avverte l'Ocse, "vanno oltre il reddito e colpiscono le opportunità": il crescente gap tra ricchi e poveri "è accompagnato da un'ulteriore polarizzazione nei risultati educativi e nella salute, perpetuando un circolo vizioso di esclusione e squilibrio".Perché "gli adulti con un'educazione terziaria hanno maggiori probabilità di entrare nella forza lavoro, e di guadagnare salari più elevati, avere una buona salute e vivere più a lungo", mentre "gli studenti più poveri faticano a competere con i compagni di classe più ricchi e raggiungono livelli educativi inferiori, quindi salari più bassi e vite più corte".Per questo, conclude lo studio, "le politiche che vogliono ridurre le disparità falliranno se non garantiscono un migliore accesso alle opportunità sotto forma di educazione di alto livello, sanità e infrastrutture, che restano distribuite in modo disomogeneo a livello sia sociale sia geografico".