Per il 2017 è prevista una crescita media delle retribuzioni del 2,5%, un trend che accomuna dirigenti, middle management, tecnici e personale di funzioni di supporto. A beneficiare di questa crescita sarà però una fascia ristretta del management: se da una parte gli stipendi della fascia media sono sostanzialmente fermi, quelli per i ruoli executive e top management (dai direttori generali ai ceo) la crescita è al ritmo del 10% annuo. Il numero limitato dei soggetti coinvolti spiega la limitata incidenza sulla performance generale.
È quanto emerge dall’Osservatorio Willis Towers Watson sulle politiche retributive giunta quest’anno alla XX edizione, l’analisi ha riguardato 500 aziende, prevalentemente medio-grandi, appartenenti ai principali settori industriali e ai servizi e ai servizi finanziari. Il divario tra i tassi di crescita della popolazione executive e le altre è dovuto principalmente alla riorganizzazione di molte aziende, che se pur hanno ripreso a investire sulle risorse umane per intercettare talenti per sviluppare una crescita internazionale, si espongono comunque solo verso quelle figure ritenute “chiave” perché in grado di fare davvero la differenza. Per tutte le altre, invece, non si registrano pressioni salariali.
A livello di settori, quelli che promettono i maggiori aumenti retributivi sono i media (+2,9% annuo) e i professional services (+2,7%), mentre l’energy e la chimica si fermano intorno al 2% di progresso atteso.
Edoardo Cesarini, managing director di Willis Towers Watson Italia, commenta: «La crescita nominale delle retribuzioni si attesta da qualche anno intorno al 2,5%, una tendenza legata anche a un periodo inflazione 0, se non di vera e propria deflazione. Se nel 2015 avevamo notato qualche segnale di robusta crescita delle retribuzioni per alcuni ruoli e settori di nicchia, il 2016 sembra essersi riallineato agli anni immediatamente precedenti: anche le previsioni per il 2017, a fronte di un’inflazione marginalmente positiva, ci confermano una dinamica piuttosto piatta».
L’indagine evidenzia inoltre, come finalmente si stiano riducendo il gap tra i generi: fino a due anni fa gli uomini guadagnavano mediamente l’8% in più delle donne, mentre oggi la distanza si è quasi dimezzata. Si riscontra però che il 77% del management nelle aziende italiane è composto da uomini.
Quanto ai livelli retributivi d’ingresso nel mondo del lavoro, la ricerca non evidenzia particolari differenze in base al titolo di studio. In effetti chi è in possesso di un master o di un dottorato guadagna mediamente 32mila euro lordi annui o poco meno, contro i 28-30mila di chi ha la laurea specialistica. Le strade tendono poi a divaricarsi negli anni, in base alla capacità di scalare posizioni.
Le stesse dinamiche sono replicate anche in Francia, Spagna e Regno Unito; la Germania rimane un’eccezione, con una crescita nelle retribuzioni più sostenuta per tutti i livelli. In questi paesi emerge però un maggiore appiattimento delle retribuzioni di ingresso.
A livello di retribuzione variabile, per i middle e senior management, i bonus erogati sono pari al 90% dei risultati attesi, mentre la fascia executive ha mediamente ottenuto più del target – il 110%; percentuali molto diverse rispetto a quanto riscontrato per professional e senior professional: mediamente hanno ricevuto il 70-75% rispetto al target.
Le retribuzioni nominali sono sostenute dalle negoziazioni contrattuali ma sono comunque allineate a quelle degli altri Paesi dell'Europa dell'Est, quelle reali da un tasso di inflazione negativo; in ogni caso si ricorda che sino al 2013 la crescita media nominale era del 3%.
Le aziende hanno ripreso a investire sulle risorse umane, ma solo nei ruoli considerati “chiave” per lo sviluppo internazionale
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: