mercoledì 25 settembre 2024
L'amministratore apostolico di Iglesias segue da vicino la crisi dell'impianto dove lavorano oltre mille persone: «Per vincere la rassegnazione serve anzitutto l'aiuto delle istituzioni»
Il cardinale Arrigo Miglio

Il cardinale Arrigo Miglio - Siciliani

COMMENTA E CONDIVIDI

Il cardinale Arrigo Miglio è stato in Sardegna a più riprese, prima come Vescovo di Iglesias, poi come Arcivescovo Metropolita di Cagliari e nel 2022, dopo essere stato creato cardinale, è tornato a servire la Diocesi Ecclesiense dopo trent'anni dalla sua prima volta. in queste settimane segue da vicino la crisi dell’impianto di Portovesme, dove lavorano oltre mille persone.

Quali sono i suoi sentimenti nel ritrovare il Sulcis Iglesiente ancora dilaniato dagli stessi problemi?

Ho trovato un territorio quasi irriconoscibile, come rivedere una persona cara che combatte da anni con una lunga malattia: smagrita, stanca e scoraggiata. Penso alla città di Carbonia, che avevo conosciuto come fiorente capoluogo del Sulcis: un silenzio che non conoscevo, e tanti brutti cartelli che ripetono “vendesi”, quasi a dire che il territorio è in vendita!

La crisi occupazionale del Sulcis Iglesiente è seguita alla chiusura dell'estrazione mineraria; lei scese anche nei pozzi delle miniere occupate. Da lì la progressiva deindustrializzazione di Portovesme, abbandonato prima dallo Stato e poi dalle multinazionali. Quali ferite sono rimaste nel tessuto sociale?

Le ferite sono in primo luogo economiche, ma quella che mi colpisce di più è vedere che si è spenta non solo la vivacità sociale, ma anche la vivacità della protesta. Un tempo nella protesta c’era la voglia di ricominciare. Oggi brucia la ferita di una delusione in cui non c’è più spazio per la speranza e che lascia intravvedere solo la fuga.

La crisi della Portovesme Srl è l’ennesima ferita inferta ad un territorio lacerato da decenni di crisi industriali e ad un ambiente sfregiato. Come è possibile che le istituzioni non abbiano saputo costruire alternative insieme al territorio?

Eppure è successo, una seria progettualità pare proprio che non sia mai riuscita a farsi strada. Il territorio ha conosciuto tutti gli ammortizzatori sociali, spesso strappati coi denti, poi sono arrivate manovre dilatorie, bugie, promesse fatte da chi non aveva nessuna forza di mantenerle. Nel frattempo è aumentata l’emorragia dei giovani assieme alla crisi demografica. Qualche iniziativa positiva non è mancata, nelle zone turistiche, ma con molto meno sostegno di quanto ne ottengono altre aree più forti.

Questo territorio è tra le zone più povere d'Italia e con il più alto tasso di disoccupazione giovanile e dispersione scolastica. Quale speranza possono avere i suoi giovani?

I giovani quelli rimasti, stanno lavorando a nuovi progetti, nei settori che hanno più futuro, come il turismo, ma occorre un salto di qualità nelle infrastrutture. Non basta il fai da te, occorre una buona formazione professionale e manodopera qualificata. In Sardegna quasi la metà delle imprese fa fatica a trovare personale. Tanti immigrati sarebbero in grado di offrire una manodopera preparata, se solo venissero inclusi.

La Chiesa locale come sta accompagnando gli operai e le famiglie colpiti dalla crisi?

La chiesa locale da sempre è vicina alle problematiche e alle sofferenze dei lavoratori del territorio. Quando io giunsi a Iglesias la prima volta, una trentina d’anni fa, trovai già una diocesi molto sensibile e vicina ai problemi sociali e del lavoro. È una tradizione che continua, pur nella debolezza dei mezzi a disposizione, ma la vicinanza dei Pastori è proprio quello che le persone desiderano.

Il tessuto sociale sta mostrando solidarietà o lo smarrimento ha fatto prevalere sentimenti di individualismo?

La risposta del tessuto sociale, grazie a Dio, è generosa e commovente, sia attraverso le Caritas sia attraverso le Istituzioni locali, e questo è un elemento che gioca in maniera decisiva nel mantenere viva non solo la speranza ma soprattutto la voglia di impegnarsi.

Come si può intervenire a contrastare la crescente povertà che non è più solo economica, ma anche di motivazione, quasi una rassegnazione?

Un aiuto importante per vincere la rassegnazione dovrebbe venire anzitutto delle Istituzioni, una vicinanza che sia accompagnamento nella ricerca di strade per risalire. I lavoratori della Portovesme srl hanno scritto al Presidente Mattarella ed io mi sono unito al loro appello chiedendo al Presidente un’ ulteriore vicinanza.

Che esortazione farebbe alle istituzioni?

Oltre alla vicinanza serve un impegno concreto per rilanciare il territorio, ad di là delle pastoie burocratiche. Serve anche il coraggio della verità, comprese quelle amare, per non creare altre illusioni.

E che incoraggiamento ai lavoratori ed alle loro famiglie?

Vorrei ricordargli le fatiche e le lotte dei loro genitori e nonni, che hanno segnato e rafforzato la cultura di questo territorio da oltre un secolo. Questa storia, con i suoi feriti e i suoi morti, deve continuare ad alimentare la cultura di oggi, a mantenere vivo lo spirito della lotta per la giustizia sociale, ad aiutare i giovani a orientarsi con speranza verso un futuro che valorizzi questa terra, la bellezza di questo ambiente, la dolcezza dei legami umani che caratterizzano queste famiglie, l’orgoglio di poter condividere questo patrimonio con quanti man mano si affacciano a conoscere una Sardegna “diversa”.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI