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Preannunciati a ottobre, arrivano i dazi della Cina contro il brandy europeo, che colpiscono in primissimo luogo un Paese: la Francia. Una conseguenza, in buona parte, dell’incipiente guerra commerciale legata ai dazi imposti dall’Ue sui veicoli elettrici cinesi, in vigore dal primo novembre. La Francia, secondo dati del 2022, detiene il 98,8% del mercato in Cina con i suoi cognac, per un valore di 773 milioni di euro. I dazi entreranno in vigore da venerdì prossimo, data in cui gli importatori dovranno presentare o garanzie o titoli presso le dogane cinesi.
Dazi decisamente elevati, tra il 30,6% e il 39% a seconda dei produttori (i più duramente colpiti sono Jas Hennessy, con il 39% e Remy Martin con il 38,1%). La Cina aveva avviato un’indagine antidumping il 5 gennaio scorso. Il 29 agosto il ministero del Commercio di Pechino era arrivata alla conclusione che vi era in effetti concorrenza sleale, ma aveva soprasseduto sul fronte di misure concrete. Quando poi, a inizio ottobre, la Commissione Europea ha confermato i dazi sulle auto elettriche, la Cina ha deciso di reagire preannunciando, pochi giorni dopo, i dazi che entrano in vigore questa settimana.
Una reazione di Pechino, che ha già presentato un esposto al Wto contro i dazi europei sui suoi veicoli elettrici, era attesa, anche se varie capitali avevano sperato di evitare il peggio. Ancora a maggio, durante una visita del presidente cinese Xi Jinping in Francia, l’omologo francese Emmanuel Macron, facendogli sorseggiare prezioso cognac in una prestigiosa cantina, lo aveva ringraziato per non avere imposto dazi su questi liquori. E pochi giorni fa, in visita a Shanghai, la ministra di Parigi per il Commercio, Sophie Master, aveva dichiarato che “la Francia è pronta a negoziati”, aggiungendo però di essersi recata in Cina con un messaggio “sia di apertura, sia di fermezza”. La richiesta europea a Pechino è chiara: meno sovvenzioni di Stato ai prodotti cinesi e maggiore apertura del mercato interno ai produttori europei.
Competente per il commercio estero per l’Ue, del resto, è la sola Commissione Europea. La quale insiste di voler cercare il dialogo con Pechino, anche dopo aver fatto scattare i dazi sulle auto elettriche. Dialogo che si fa ora ancora più cruciale dopo la trionfale vittoria di Donald Trump negli Usa: il presidente designato già al suo primo mandato aveva imposto dazi del 10% sull’acciaio e l’alluminio europeo (dazi poi sospesi in base a un’intesa di Bruxelles con Joe Biden) e del 60% sui prodotti cinesi. Ancora in campagna elettorale, Trump ha definito i dazi una “parola bellissima”.
Il timore dell’Europa è che ulteriori pesanti dazi sui prodotti cinesi possano spingere il colosso asiatico a dirottare ancora più suoi prodotti versi l’Ue, inondandola. Al tempo stesso, come ha dimostrato le dure proteste anzitutto tedesche contro i dazi alle auto elettriche cinesi, vari Paesi europei (Germania in testa) hanno assolutamente bisogno del mercato cinese, ancor più poi se si restringerà l’accesso a quello Usa.
Le tensioni commerciali Ue-Cina, tuttavia, sembrano destinati ad aumentare. Basti dire che in ballo c’è un’altra inchiesta anti-dumping del ministero del Commercio cinese, sul fronte della carne di maiale, di cui l’Ue è il maggiore esportatore verso la Cina. Particolarmente a rischio sono Spagna, Olanda, Danimarca, Germania e Belgio. Intanto, la Commissione Europea sta indagando sul fronte dei sussidi di Stato cinesi su pannelli solari e turbine eoliche.