«Quello che ha fatto Fiat è in linea con la legge e con la prassi». Così la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, commenta il caso dei tre operai a Melfi. «Il vero tema – aggiunge – è l'esigenza di cambiare radicalmente le relazioni industriali». Le scelte fatte da Fiat nei confronti dei tre operai licenziati e reintegrati dal Giudice del Lavoro «non sono in disaccordo con quanto deciso dal giudice», dice la leader degli industriali al Meeting di Rimini. «Bisogna considerare e rispettare i diritti dei tre lavoratori», sottolinea, ma anche «quelli degli altri lavoratori che volevano lavorare durante uno sciopero, e i diritti dell'impresa».Per Emma Marcegaglia «il vero tema è un altro», è quello di poter garantire le condizioni necessarie per gli investimenti che Fiat vuole fare in Italia, e in particolare per lo stabilimento di Pomigliano d'Arco al centro del confronto dopo l'accordo separato con i sindacati (non firmato dalla Fiom). «Parliamo di 20 miliardi» e di una azienda «che non fa delocalizzazioni ma, al contrario, decide di investire in Italia».Accordi così «devono essere rispettai e portati avanti». E questo sembra oggi «non possibile». Non si può «bloccare un carrello e bloccare così la produzione» se l'obiettivo degli accordi è aumentare la produttività e rendere così possibili gli investimenti. Per questo «bisogna cambiare radicalmente le relazioni industriali, non in un modo cinese come qualcuno dice, ma guardando ad esempi come la Germania».
LA RISPOSTA DI NAPOLITANOI tre operai licenziati dalla Fiat, reintegrati al lavoro dal giudice ma a cui l’azienda ha impedito di tornare a fare il proprio mestiere, parcheggiandoli in una saletta distante dalle linee di produzione, l’avevano chiesto, forse soprattutto sperato: dopo averla annunciata, avevano inviato ieri una lettera al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, chiedendogli in modo dignitoso e insieme accorato, da lavoratori e padri di famiglia in lotta per il proprio futuro, un suo intervento sulla vicenda. In particolare, di «richiamare i protagonisti al rispetto delle leggi», così scrivevano i tre. E il Capo dello Stato, anch’egli per lettera, ha prontamente risposto: «Cari Barozzino, Lamorte e Pignatelli», è stato l’incipit di Napoltano, che in poche, chiare frasi ha definito il perimetro entro il quale auspica che la vicenda possa risolversi.Il Presidente, dopo aver manifestato il suo «profondo rammarico» per la tensione creatasi, ha sottolineato come a dover intervenire sulla vicenda sia l’autorità giudiziaria e come «ad essa non posso che rimettermi anch’io, proprio per rispetto di quelle regole dello Stato di diritto a cui voi vi richiamate», nel contempo esprimendo «il vivissimo auspicio che questo grave episodio possa essere superato» e che si creino «le condizioni per un confronto pacato e serio», con la speranza che tale auspicio «sia ascoltato anche dalla dirigenza della Fiat».L’intervento del Capo dello Stato è giunto al termine di una lunga giornata in cui attraverso le dichiarazioni di molti esponenti politici, di governo e non, e di rappresentanti sindacali, si era formato un fronte sostanzialmente unito nel chiedere prima di tutto all’azienda di Torino il rispetto delle regole. Non formale ma sostanziale. Chiara e netta è stata in particolare la posizione espressa dal ministro dei Trasporti, Altero Matteoli: «Le sentenze vanno rispettate anche quando non ci fanno piacere. Se il nostro è uno stato di diritto, non lo può essere a fasi alterne». Sulla stessa linea il sottosegretario allo Sviluppo economico, Stefano Saglia, il quale ritiene che Fiat debba «da un lato applicare la sentenza, dall’altro rimanere dalla parte della ragione». Da parte sindacale, il vice-segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, ha dichiarato che «non c’è nessuno che possa esimersi dal rispettare una sentenza della magistratura con nessuna motivazione e quelle peraltro fornite in questa occasione da Fiat sono del tutto pretestuose», mentre il numero uno della Cisl, Raffaele Bonanni, ha sottolineato che «la Fiat sta spostando l’attenzione su un problema assolutamente residuale. Il fatto importante è l’investimento. Applicasse la sentenza e non andasse dietro la Fiom». A confermare la sintonia di fondo, pur con sfumature diverse, fra politici e sindacati è stata anche una nota del consigliere regionale della Basilicata (Pdl), Michele Napoli, che ha affermato come «politica e sindacati unanimemente condannano l’atteggiamento della Fiat». Più duro di tutti il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, che ha accusato Fiat di chiedere una sorta di «extraterritorialità» nei suoi stabilimenti.Intanto Barozzino, Lamorte e Pignatelli, pur presentandosi ai cancelli degli stabilimenti, ieri hanno deciso, dopo una valutazione che in mattinata ha impegnato anche gli avvocati e i dirigenti della Fiom, di non varcarli. E così faranno anche nei prossimi giorni, in attesa di conoscere gli sviluppi sull’esposto presentato lunedì pomeriggio dalla Fiom ai Carabinieri, in cui si contesta la non applicazione della sentenza da parte di Fiat.
MONSIGNOR BREGANTINI«L'intervento del presidente Napolitano è stato nobilissimo, rapido, incisivo e lucido». È quanto ha detto a un'agenzia di stampa monsignor Giancarlo Maria Bregantini, arcivescovo di Campobasso-Boiano e Presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, in merito alla vicenda dei tre operai della Fiat di Melfi. Monsignor Bregantini ha aggiunto: «L'azienda ha dei compiti e degli obblighi non solo di natura economica ma anche di natura personale».