Mauro Magatti ne è convinto: nel tempo i risultati di The Economy of Francesco si manifesteranno in modo misterioso. Durante l’evento, oltre a tenere un’importante relazione, il sociologo dell’Università Cattolica ha partecipato ai lavori del dibattito, confrontandosi con un nutrito gruppo di giovani. «Tra di loro c’erano studenti, imprenditori o professionisti all’inizio della carriera – spiega –. In una parola, persone che si preparano ad assumere o hanno appena assunto un ruolo di responsabilità. In futuro molti di loro saranno chiamati a prendere decisioni cruciali. È allora che ci si potrà rendere conto del valore di queste giornate».
Che impressione le ha fatto il messaggio che papa Francesco ha inviato ai partecipanti?
Non è un compito facile.
Dopo il trauma delle Torri Gemelle nel 2001 e dopo l’infarto dell’apparato economico-finanzario nel 2008, la pandemia ha portato alla luce la dimensione del contagio, che comporta la consapevolezza dell’interdipendenza tra le persone. Ma per capirci meglio forse occorre fare un altro passo indietro.
Al 1989, l’anno che segna in modo non soltanto simbolico la fine delle ideologie, che a loro volta possono essere considerate come la declinazione meno nobile delle utopie politiche affermatesi a partire dall’Ottocento. Che cosa è successo da lì in poi lo sappiamo, anche se non sempre lo teniamo nella giusta considerazione: ci siamo concentrati unicamente sul tema del desiderio individuale, trascurando tutto il resto. Adesso questa nuova ideologia, che vorrebbe obbligarci a vivere come particelle slegate le une dalle altre, è smentita nel modo più clamoroso. Il Papa lo ricorda una volta di più nella conclusione del messaggio ai giovani idealmente riuniti ad Assisi: nessuno si salva da solo, c’è un compito comune, una vocazione che attraverso la cultura deve farsi patto.
Non è da oggi che questa generazione esprime una volontà di cambiamento che troppo spesso sembra scontrarsi con la complessità dei problemi. I giovani vogliono dare il proprio contributo, non sempre sanno esattamente che cosa fare, né come. Da The Economy of Francesco può venire un impulso determinante, nella direzione non di un’ulteriore utopia, ma di quella speranza fattiva alla quale il Papa esorta nel suo messaggio. Si tratta di un richiamo fondamentale, che va controcorrente rispetto al pensiero dominante che, se va bene, si accontenta di invocare un altro po’ di innovazione tecnologica. Utilissima, intendiamoci, ma non sufficiente.
Un rovesciamento di prospettiva. Ed è proprio questo che Francesco suggerisce ai giovani. Nel momento in cui si concentra esclusivamente sulla tecnica, la nostra società torna a proporre una logica sacrificale. Il messaggio sottinteso è che conta l’avanzamento complessivo della specie, per il quale si dev’essere disposti a tollerare che qualcuno, strada facendo, rimanga indietro o finisca calpestato. In una parola, scartato. Il Papa, invece, ribadisce che non ci può essere sviluppo se non ci si mette al passo degli ultimi, in una prospettiva non assistenziale, ma di pieno riconoscimento della dignità della persona. Molto significativi, in questo senso, sono i rimandi alla Popolorum Progressio, l’enciclica nella quale Paolo VI indica l’obiettivo dello sviluppo umano integrale.