Una presentazione del Rapporto sul Benvivere nelle edizioni precedenti del Festival dell'Economia civile
Il progresso delle scienze mediche negli ultimi due secoli è stato spettacolare e ci ha regalato una quantità enorme di anni di vita. L’economista indiano Partha Dasgupta ricorda nel suo rapporto sulla biodiversità che nell’anno zero della nascita di Cristo eravamo 230 milioni e vivevamo in media 24 anni mentre nel 2020 siamo diventati 7,8 miliardi con una vita media di 73 anni. In Italia siamo passati da una vita media di 28 anni nel 1860, l’anno dell’unità d’Italia (quando la mortalità infantile era molto elevata) ad un aspettativa di vita superiore agli 80 anni (80,6 per gli uomini e 85,21 per le donne).
Anche nel campo della salute come in quasi tutte le altre dimensioni del benvivere le diseguaglianze territoriali sono sensibili. Nel rapporto sul Benvivere delle provincie italiane che sarà presentato al quarto festival dell’economia civile a Firenze il prossimo 16 settembre abbiamo provato a misurare come la differente qualità dei sistemi sociosanitari si riflette sull’aspettativa di vita. Abbiamo utilizzato un indicatore consolidato come quello delle morti evitabili, definite da un panel di esperti di salute a livello Ocse. Le morti evitabili sono quelle che, per età del paziente e tipo di malattia, sono considerate in un determinato momento storico curabili dato lo stato delle conoscenze e della pratica medica. Il numero di morti evitabili è dunque un indicatore standard di qualità dei sistemi sanitari territoriali.
Con un semplice modello ad effetti fissi che usa dati delle regioni italiane per diversi anni e replica quanto già realizzato a livello europeo abbiamo osservato che è possibile dal dato delle morti evitabili effettuare una predizione dell’aspettativa media di vita per anno e per regione con una qualità della stima molto elevata. Abbiamo pertanto stimato quale sarebbe l’aspettativa media di vita in un territorio in caso di zero morti evitabili (la frontiera teorica di qualità di un sistema sociosanitario) o nel caso di convergenza al numero di morti evitabili della provincia italiana più efficiente (la frontiera effettivamente raggiungibile nel caso in cui il gap di efficienza venisse colmato). Il risultato nell’indagine presentato nel rapporto e in quest’anteprima indica come azzerare le morti evitabili porterebbe l’Italia ad aumentare di quasi due anni la vita media del Paese non divisa per sesso (da 81.9 ad 83.7).
Guardando alle differenze tra provincie si evidenzia inoltre che, se Napoli avesse il numero di morti evitabili uguale a quello della provincia italiana con la migliore performance (quella con il numero attualmente minore di morti evitabili), l’aspettativa di vita nella provincia sarebbe più alta di 1,28 anni mentre con zero morti evitabili Napoli avrebbe un’aspettativa di vita più alta di 2,68 anni (ovvero i limiti del sistema sociosanitario locale sottraggono più di due anni e mezzo di vita in media alla popolazione locale). L’aspettativa media di vita massima in caso di zero morti evitabili sarebbe nelle due provincie che hanno i dati migliori (Treviso e Prato) di 84,88 anni (di quasi tre anni superiore all’attuale media nazionale non divisa per sesso).
I gap di aspettativa media di vita rispetto alle due frontiere (zero morti evitabili e morti evitabili della provincia migliore) non dipendono solo dalla diffusione di scienza e tecnologie medicali ma da un complesso articolato di fattori che includono: i) efficienza nella presa in carico dei pazienti del sistema sanitario locale, ii) qualità territoriale dei fattori di longevità attiva (qualità vita di relazioni, formazione permanente, alfabetizzazione digitale) che aumentano la generatività degli anziani e creano condizioni psicofisiche che ritardano l’insorgere di patologie, iii) educazione sanitaria e disposizione dei cittadini alle cure. Il meccanismo dei livelli essenziali di assistenza non basta evidentemente ad eliminare queste diseguaglianze che dipendono da molti fattori incluso il tempo di attesa medio e non solo dunque la qualità delle prestazioni minime assicurate dal Sistema Sanitario Nazionale.
La fotografia presentata nel rapporto può essere il punto di partenza e uno stimolo per un dibattito su un tema chiave, quello della longevità attiva, in un paese come il nostro. Il PNRR con il modello delle case di comunità ha ben chiara questa prospettiva dove la qualità della vita degli anziani dipende dal loro patrimonio di relazioni familiari e non, e dalla loro generatività (capacità di essere e sentirsi utili nonostante i limiti che avanzano) e deve provare a tradurlo in un modello funzionante e concreto.
L’aumento di aspettativa di vita non basta e non si traduce automaticamente in aumento di qualità della vita. Sempre da un punto di vista statistico sempre più importante diventerà ridurre il gap tra aspettativa di vita tout court e aspettativa di vita in buona salute. Fondamentale anche vincere la sfida della generatività negli anni non in buona salute e non in autosufficienza assicurando agli anziani non più autosufficienti i valori chiave per la loro vita (qualità della vita di relazioni, domiciliarietà ove possibile, incontro con le generazioni più giovani) oltre che accesso ad assistenza e cure sanitarie di qualità. Come ben noto a tutti il sistema sanitario nazionale che è un vanto del nostro paese assicura qualità elevatissima e costi ridotti in caso di acuzie (emergenze di salute) mentre risulta molto meno efficace in situazioni non emergenziali dove le disponibilità economiche dei pazienti fanno purtroppo la differenza per l’accesso ad assistenza e cure di qualità, creando purtroppo le premesse per una correlazione positiva e significativa tra povertà e rischio di deterioramento della salute. Le differenze tra territori che fotografano differenze tra sistemi sociosanitari territoriali (che originano poi le migrazioni sanitarie) nascondono un fossato profondo ed una correlazione forte tra benessere economico e salute che il progresso nella qualità dei sistemi sanitari deve cercare di ridurre.