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In un mondo, quello del private banking, tipicamente dominato da “senior”, sia per entità dei patrimoni sia per competenze ed esperienze maturate per gestirli, sta emergendo fuori dal coro la posizione di Gian Maria Mossa, amministratore delegato di Banca Generali, che nell’ultimo mese ha alzato l’asticella nel dibattito sul futuro del settore della consulenza, toccando anche temi cruciali nelle sfide per la competitività del Paese. Ha destato molta attenzione, infatti un suo recente post su Linkedin in cui partendo dalla crisi demografica e dalla spinta indispensabile dei ragazzi all’innovazione e allo sviluppo ha disegnato il concetto di “crescita sostenibile” applicandolo in primis al proprio ambito. «Il calo delle nascite e il progressivo invecchiamento della popolazione sono un trend ormai consolidato in Italia come in altri Paesi industrializzati da ormai tanti anni, ma l’aspetto che mi colpisce riguarda non solo il costo sociale ed economico di questa tendenza, ma anche la crescente distanza dei giovani dal dibattito su temi come la produttività, innovazione e complessivamente fiducia nel sistema» spiega lo stesso numero uno della banca del Leone.
I vostri clienti sono però perlopiù imprenditori e persone con un certo patrimonio e propensione al risparmio, non proprio ragazzi. Dove vede il punto d’incontro?
Ovunque. Nel nostro lavoro ci preoccupiamo della protezione dei patrimoni nel lungo periodo e stiamo al fianco delle famiglie nella pianificazione del risparmio. Parlare del futuro dei giovani significa guardare alla crescita delle imprese, dell’economia, e quindi di investimenti. Spesso ci troviamo a dialogare con gli imprenditori indecisi sul futuro della propria azienda per i nodi del passaggio generazionale e le criticità legate alla governance. E in quei frangenti vediamo le difficoltà maggiori per chi non è stato in grado di coinvolgere ad un livello adeguato di discussione le nuove generazioni. Viviamo in un paese con una ricchezza privata elevata detenuta perlopiù da persone più mature come età con i ragazzi spesso lascia spesso lasciati in disparte in questi ambiti familiari, così come vengono trascurati dai professionisti, rendendo ancora più arduo il confronto intergenerazionale. Questa dinamica accentua l’asimmetria informativa e la sfiducia verso un modello dove si vedono poco coinvolti, favorendo così la propensione verso offerte “disruptive” non sempre esenti da rischi come emerso in determinate speculazioni sulle monete digitali. Dialogo e politiche inclusive in senso lato con la responsabilità di tutti gli attori interessati sono i fattori chiave per cambiare direzione.
Anche nel vostro lavoro non sono tante le porte che si aprono ai ragazzi. Dati alla mano gli under 35 tra i consulenti sono solo il 2% del totale. Come mai?
La consulenza ha 40 anni di vita ma la sua esplosione, dopo una prima fase di crescita negli anni ’90 con l’ampliamento dell’offerta dei fondi, è riconducibile agli ultimi 12-15 anni. Si tratta quindi di un periodo ancora relativamente breve in cui le dinamiche di mercato hanno portato ad una concentrazione degli operatori più competitivi, in grado di esprimere qualità, che si sono focalizzati su profili più senior con relazioni ben consolidate. Se guardiamo infatti ai numeri nel settore, il totale dei consulenti nell’ultimo decennio è sempre lo stesso, mentre è aumentata enormemente la distanza tra le realtà leader e il resto dell’offerta. Quindi per rispondere alla sua domanda il contesto estremamente competitivo e la necessità di ulteriore consolidamento sulla figura professionale del consulente finanziario come interlocutore di riferimento per il risparmio delle famiglie hanno certamente penalizzato l’accesso ai ragazzi. Allo stesso modo ha pesato la dinamica stessa della professione che richiede formazione, competenze ed esperienza che la crisi delle banche degli ultimi anni non ha favorito. Ora vedo un contesto mutato, con una maggiore solidità e professionalità ai diversi livelli tra le società e una crescente attenzione dal mondo accademico e istituzionale sulle dinamiche digitali in continua accelerazione, che rappresentano un insieme di fattori che stanno aprendo nuove opportunità per i giovani.
In Banca Generali cosa state facendo per avvicinare i ragazzi al mestiere di banker?
Negli ultimi due anni più della metà dei nostri inserimenti ha riguardato profili più giovani rispetto alla media dell’industria che, come sappiamo supera, i 50 anni. Da inizio anno abbiamo inserito una cinquantina di professionisti e guardando agli ultimi 12-18 mesi oltre 35 ragazzi under 30 hanno scelto di seguire il nostro percorso di formazione e sviluppo “New Generation”, con l’impegno dei team a supporto di professionisti affermati e in generale l’attenzione all’esperienza sul campo. Dopo un primo progetto pilota a Bologna stiamo poi strutturando cicli di incontri con neolaureati e ragazzi alle prime esperienze in ambiti finanziari per mostrare loro in modo semplice, immediato e ingaggiante, le dinamiche del mestiere del banker. L’inclusione dei giovani è un tema strategico che deve vedere l’impegno di tutto il top management anche perché richiede un cambio importante di proposizione. I giovani oggi cercano una proposizione basata sul concetto di lavoro in team, con il digitale come leva importante per liberare tempo e semplificare ed uno sguardo sempre più importante alla sostenibilità. Per noi è un impegno prioritario e per questo ci adoperiamo non solo nella consulenza ma anche all’interno, con progetti dedicati e focus formativi sui talenti, così come all’esterno della banca, come ad esempio nei rapporti preferenziali con le università su tematiche di sostenibilità, governance, digital wealth, management e passaggio generazionale, oppure nell’impegno sociale e in comunicazione nei percorsi di educazione finanziaria e sensibilizzazione alle sfide dell’agenda 2030 dell’Onu.
Oggi non solo i ragazzi sono preoccupati del futuro ma anche le famiglie viste le dinamiche dell’inflazione. Che cosa vi stanno chiedendo i clienti?
Protezione dall’inflazione e dai rischi di mercati sempre più complessi viste le tensioni geopolitiche e il rallentamento in corso a livello globale. E quindi i clienti chiedono sempre di più di accompagnarli nei percorsi di diversificazione del risparmio nel medio lungo termine e della tutela del proprio patrimonio complessivo. In un mondo dove i prezzi sono passati da variazioni intorno allo zero al 7-8% all’anno con pressioni dai tassi elevati sui mutui e sui prestiti, è importante muoversi tenendo conto delle diverse criticità. Se il parcheggio sul conto solleva i rischi dell’erosione del potere d’acquisto con l’inflazione, l’investimento monodirezionale in determinati strumenti, come ad esempio nella sfera obbligazionaria, porta dalla sua le incognite delle condizioni dei tassi nel tempo e il potenziale impatto dal cambio della congiuntura. Continuiamo a credere nel valore delle gestioni attive che portano con sé il vantaggio di un maggiore controllo in caso di picchi di volatilità e diversificazione mirata, così come degli strumenti assicurativi cogliendo i vantaggi della mutualità e, in generale, il contributo dell’esperienza di un banker al fianco delle famiglie nell’advisory e scelte sugli obiettivi e orizzonti personali. Perché il nostro lavoro non si limita all’analisi di investimenti, ma come mi capita sempre più di frequente anche personalmente, è anche quello di accompagnare i clienti nelle sfide che riguardano la loro azienda o il passaggio generazionale. E non è un caso che negli ultimi anni siamo diventati un punto di riferimento per gli imprenditori su queste tematiche.