Un periodo difficile per chi lavora nel settore dello sport - Archivio
«Chiediamo al ministro Spadafora di riprendere subito la discussione sulla legge delega per la regolamentazione dei rapporti di lavoro nello sport: la scadenza del 31 agosto si avvicina. Non possiamo aspettare ancora per dare tutele a questo importante pezzo del mercato del lavoro, costituito da professionalità che hanno non solo un ruolo tecnico, ma spesso sono in prima linea, con le tante associazioni sportive, come presidio sociale ed educativo». Mattia Pirulli, segretario generale Felsa Cisl, è perentorio.
Si tratta di una platea che supera i 500mila collaboratori (per alcuni più di un milione), solo una parte dei quali (circa 150mila) è stata 'censita' attraverso il riconoscimento dell’indennità di 600 euro prevista dal decreto Cura Italia. Lavoratori per lo più invisibili, senza un preciso inquadramento giuridico o contrattuale, i cui compensi fino a 10mila euro sono completamente esenti da tassazione, a fronte dell’assenza di qualsiasi tutela: nessuna indennità per malattia, infortunio, gravidanza né in caso di disoccupazione. E nessuna copertura assicurativa. Un settore, dunque, da regolamentare dalle fondamenta, a cominciare da una corretta definizione della figura del lavoratore sportivo. Sono circa 20.738.000 gli italiani che praticano sport in diverse discipline, chi in maniera continuativa (27,7%) chi saltuaria (9,6%) (dati Coni 2018). Lo sport in Italia – secondo le stime recenti – vale circa l’1,7% del Pil del Paese, ovvero circa 30 miliardi di euro che se si considera anche l’indotto, raddoppia a 60 miliardi. Le attività sportive, nate originariamente in maniera residuale e per lo più sotto forma di volontariato, con il tempo, hanno richiesto una sempre maggiore specializzazione e competenza. Tuttavia non ci sono numeri certi per quanto riguarda gli operatori impiegati nello sport.
«Nell’universo dei collaboratori – spiega Pirulli – rientrano le più disparate figure che orbitano nello sport. Si va dai tecnici sportivi agli istruttori di varie discipline, fino ai manutentori e agli addetti ai servizi amministrativi, organizzativi e gestionali. Tutti inquadrati con un’unica modalità contrattuale. La mera distinzione tra dilettantismo e professionismo attualmente esistente non è in grado di rappresentare correttamente questo variegato mondo. I lavoratori non hanno potuto beneficiare di ammortizzatori sociali, ma solo del sostegno dei 600 euro, con enormi problemi di accesso per coloro che hanno un reddito superiore a 10mila euro».
La Felsa Cisl ritiene che vada innanzitutto «condivisa una puntuale disciplina di tutte queste figure professionali. E poi occorre valorizzare le numerose professionalità presenti». In questi mesi Pirulli ha avuto modo di incontrare moltissime persone con un ricco bagaglio di esperienza e competenze che non possono restare nell’ombra. «Il tutto – conclude il sindacalista – va accompagnato da adeguate tutele in termini economici, previdenziali ed assicurativi per riconoscere loro la giusta dignità di lavoratori e rilanciare la funzione sociale, sanitaria ed educativa dello sport. Ovviamente non possiamo dimenticare le necessarie forme di sostegno in favore di società ed associazioni dilettantistiche capaci di assicurare la sostenibilità dell’intero sistema. Il sogno sarebbe riuscire a costruire una bilateralità di settore che garantisca prestazioni in ambito socio-sanitario e della sicurezza, in una logica di complementarietà con il sistema pubblico».