La raccolta nei campi è affidata quasi sempre ai lavoratori stagionali - Ansa
I lavoratori agricoli si sentono privati dei sostegni e diritti e si mobilitano in due riprese per chiedere al governo parità di trattamento con altri settori e bonus commisurati alle tante giornate di lavoro perse in questo anno. I sindacati confederali di categoria Fai-Cisl, Flai-Cgil e Uila-Uil chiedono un incontro urgente con le commissioni Agricoltura e Bilancio per modificare in corsa il decreto Sostegni e colmare questo gap. A spiegare le ragioni della protesta – che va in scena oggi con un presidio in piazza Vidoni a Roma e il 10 aprile con manifestazioni davanti a tutte le Prefetture, il segretario generale della Fai Cisl Onofrio Rota. L’inizio della pandemia l’anno scorso ha trovato il settore agroalimentare in una situazione di emergenza per alcuni problemi specifici come la Xylella in Puglia, e la cimice asiatica in Emilia Romagna. Poi con l’arrivo dell’emergenza sanitaria il governo ha concesso due bonus ai lavoratori agricoli stagionali: il primo da 600 euro nel mese di marzo e il secondo da 500 euro ad aprile. «Ma a parte questi due bonus sono rimasti sempre esclusi, così come quelli di altri due settori quello agrituristico e quello floro-vivaistico. Nonostante siano state perse oltre due milioni di giornate di lavoro nel 2020» spiega Rota. In Italia ci sono un milione di lavoratori nel settore agricolo: ma sono 100 mila sono a tempo indeterminato, la stragrande maggioranza sono stagionali. I due terzi sono italiani, di età spesso avanzata e con un livello di scolarizzazione basso, mentre gli immigrati sono al momento un terzo della forza lavoro, ma la percentuale sta crescendo perché per le basse retribuzioni e gli elevati livelli di fatica gli italiani sono in fuga dai campi. «Vengono considerati lavoratori di serie B, con questi stipendi converrebbe ricorrere al reddito di cittadinanza» aggiunge Rota, ricordando che gli stagionali del turismo hanno avuto circa settemila euro di bonus in questi mesi. «C’è un’immagine dell’agricoltura come di un mondo fatato che non ha subito contraccolpi ma il dato oggettivo è che si sta lavorando meno visto che il comparto Horeka legato alla ristorazione e agli alberghi, è fermo » sottolinea il segretario della Fai-Cisl. L’anno scorso si era posto il problema della mancanza di lavoratori stagionali per via del blocco delle frontiere, ma quest’anno non ci sarà. «Per via delle limitazioni dei movimenti molti immigrati sono rimasti in Italia, stiamo assistendo ad una crescita importante di manodopera immigrata, soprattutto di extracomunitari – aggiunge Rota –. C’è poi il tema del lavoro irregolare e del caporalato che riguarda soprattutto le regioni del Sud, dalla Puglia alla Calabria alla Sicilia. Ci sono interi ghetti con forza lavoro non regolare, si parla di 300mila lavorataori».
La lista delle discriminazioni evidenziate dai sindacati è lunga, spia di un malesse profondo. L’accesso al reddido di emergenza ad esempio è stato impedito a chi ha usufruito anche di un solo bonus, i lavoratori delle cooperative non possono usufruire della disoccupazione Naspi, c’è poi il comparto della pesca che da tempo aspetta l’istituzione di una cassa integrazione stabile. «Si tratta di lavoratori già svantaggiati, i cosidetti working poors che rischiano di diventare ancora più poveri quando andranno in pensione» conclude Rota. E mentre in Europa gli Stati si impegnano ad inserire della Pac (Politica agricola comune) delle condizioni precise per le aziende del settore agroalimentare a tutela del benessere animale, non c’è una clausola che stabilisca che i lavoratori abbiano un contratto regolare. Qualcuno tira fuori di tanto in tanto la reintroduzione dei voucher in agricoltura ma per il sindacato sarebbe un passo indietro, un ritorno al lavoro a chiamata. Altro tasto dolente il rinnovo dei contratti provinciali (il settore agricolo prevede contratti differenziati in base al territorio e alle coltivazioni) che sono fermi soprattutto nelle regioni del Centro-Sud.