Tra i progetti illustrati alla Biennale di Taranto sulla prossimità quello dell'orto urbano inclusivo di Roma
È partita con 400 ragazzi delle scuole di Taranto e provincia, impegnati ieri mattina in un confronto i cui risultati animeranno alcuni dibattiti tematici dei prossimi giorni, l’avventura della Biennale della Prossimità 2019, a Taranto da ieri fino a domenica. «È una grande opportunità – ha commentato l’arcivescovo della diocesi ionica, monsignor Filippo Santoro, inaugurando insieme alle istituzioni locali la quattro giorni – un’occasione per rendere giustizia dell’immagine della città che, nonostante i problemi, sta camminando». Nelle parole di Caterina Pozzi, uno dei quattro co-direttori nazionali, il senso di quello che non è un evento ma piuttosto «un percorso lungo 18 mesi con 17 realtà nazionali, espressioni di mondi diversi, che a Taranto provano ad avere un linguaggio comune, spogliarsi della propria identità per creare un prodotto collettivo. Un metodo basato su partecipazione e condivisione, che lavora su due livelli: uno teorico, con un’area ricerca, i cui risultati sono raccolti nella biblioteca presente sul sito prossimita.net ed uno pratico, sui territori». Il comitato nazionale ha fatto riferimento continuo a quello locale, costituto da 38 realtà ed oggi ci sono 172 enti iscritti alla Biennale (un dato in continuo aggiornamento) per 180 eventi, tra dibattiti, workshop, convegni, concerti, teatro, mostre e percorsi di cittadinanza attiva. Tanto da fare e da viversi ma senza ansia. «Perché – proseguono gli organizzatori – l’approccio deve essere lento, anche di scoperta della città e confronto». La prima giornata è stata dedicata al racconto dell’indagine sulla prossimità in Italia. «Un’indagine che nasce per arricchirla, la prossimità – sottolinea Carlo, dell’area ricerca della Biennale – non per restringerla o categorizzarla. Ci sono delle precondizioni che ci sembrano fondamentali perché si parli di prossimità: risolvere bisogni sociali e migliorare la qualità di vita dei cittadini, avere una territorialità circoscritta, avere sempre i cittadini come co/protagonisti e collaborare tra diversi attori. Da qui siamo andati a costruire una banca dati, con 250 esperienze di prossimità. Fra queste abbiamo condotto un’analisi qualitativa di 20 casi».
E sei sono stati raccontati a Taranto: l’Orto Fai da Noi di Roma, un orto urbano inclusivo, con parte del raccolto che sarà dato al no profit, la Polveriera ed il Tortellante, Leila – la biblioteca degli oggetti, con 5 spazi attivi a Bologna per il prestito – Camilla, un emporio di comunità bolognese, con vendita di alimenti e prodotti fatta dai 400 soci che acquistano e mantengono la struttura, ed infine Lab-SOP, progetto di rigenerazione urbana a Trento. «Un’area in cui i servizi funzionano – conclude Carlo – ma i bisogni di comunità ci sono ovunque, indipendentemente dalla qualità della vita o economica. Oggi non forniamo conclusioni ma alimentiamo la discussione sulle caratteristiche di questi casi per capire se chi è qui si riconosce nelle pratiche, se sono replicabili in altri territori ». È emerso inoltre che il 38% delle organizzazioni realizza almeno un’iniziativa di prossimità all’anno, mentre è del 15% l’incidenza dei finanziamenti da fondazioni bancarie sulla copertura dei costi dei progetti di prossimità.