Quella di Myke Manley è un’eredità pesante. Pesantissima. Sergio Marchionne lascia il volante di Fca mentre l’industria automotive è vicina al punto di rottura. Il manager dal maglione nero si ritrovò tra le mani nel 2004 una Fiat a pezzi e destinata a sicuro fallimento, è vero. Ma il prodigio finanziario (oltre che industriale) di riuscire a risollevarla avvenne in un contesto di crisi aziendale e non sistemica. Il Lingotto aveva pochi modelli, superati e non sapeva venderli oltre confine.
L’operazione Chrysler – spalancando le porte del mercato americano prima, europeo e orientale poi, grazie alla forza del marchio Jeep – ha consentito alla nuova Fca di compiere un salto quantico ed evitare il collasso sul nucleo sempre più denso e ristretto di produttori in grado di resistere su scala planetaria. C’è voluta una grande immissione di energia manageriale, tecnica e commerciale a tutti i livelli, nel Gruppo e nelle controllate, per trasformare la Fabbrica Italiana Automobili Torino in un player internazionale. Mantenendo per altro una grossa fetta della produzione e della progettazione in Italia, con cinque stabilimenti (su sei) tuttora attivi, nonostante la sede legale in Olanda e quella fiscale a Londra. Oggi Fca è l’ottavo produttore al mondo e sfiora i 5 milioni di immatricolazioni.
Non basta. Perché il sistema-auto, a differenza di quindici anni fa, quando si producevano quattroruote a benzina o diesel e poco più, è in una fase di trasformazione epocale. La costosissima corsa all’alimentazione elettrica e a idrogeno, le auto autonome di Google e Uber – senza dimenticare la sharing mobility, che potrebbe modificare radicalmente le scelte dei consumatori – sono una 'singolarità' per il modello di business. L’industria automotive, dopo uno scontro iniziale, ha avviato persino una collaborazione con la Silicon Valley. Per questo Marchionne ha più volte vaticinato un mondo dei motori concentrato in 5 o 6 protagonisti assoluti. E cercato di conseguenza ulteriori aggregazioni. Senza però trovarle.
Ma le future proposte di matrimonio potrebbero arrivare direttamente dai colossi hi tech, forti delle loro risorse finanziarie e soprattutto del futuro, che è dalla loro parte. La sfida più difficile che Manley ha davanti è proprio quella di guidare Fca su strade non battute. Riuscendo magari a emulare il predecessore, e a trovare un ruolo per l’Italia in una competizione che si gioca su orbite sempre più esterne e cariche di energia. L’ultimo Piano presentato da Marchionne a inizio giugno una traiettoria l’avrebbe pure individuata: puntare sul bello, esaltare la qualità. Fare cioè delle fabbriche italiane le 'sartorie' industriali dell’alto di gamma Alfa, Jeep e Maserati. In puro stile made in Italy, valore aggiunto anche nell’era hi tech.