Nella nostra Repubblica fondata sul lavoro i proprietari di casa sono più numerosi degli occupati: 24 milioni contro 23. È vero che le due condizioni non sono alternative, e infatti ci sono 12 milioni e mezzo di italiani che appartengono a entrambe le categorie, ma anche a leggerlo come semplice curiosità statistica questo confronto non è proprio la perfetta introduzione alla descrizione di un’economia dalle radiose prospettive. Aggiungiamo che questi proprietari – censiti dal Rapporto Immobiliare 2011 dell’Agenzia del Territorio – sono vecchiotti: i proprietari con meno di 35 anni sono solo 2,1 milioni, contro i 14,5 tra i 35 e i 65 anni e i 7,5 sopra i 65 anni.In Italia la casa è roba da adulti stagionati, a chi è nato dopo gli anni ’70 del mattone sono rimasti gli avanzi. Il Censis ha diffuso delle cifre interessanti: complessivamente l’80% delle famiglie italiane ha una casa di proprietà e il 20% sta in affitto, ma la quota di proprietari sale all’86% per le famiglie in cui la «persona di riferimento» ha più di 40 anni, mentre scende al 64% per quelle più giovani (sì, in Italia si è giovani anche quando si è trentenni già da un po’).Vivere in affitto non è di per sé sintomo di disagio. Anzi, il fatto che in Italia l’affitto sia poco diffuso è invece sintomo di qualcosa che non va. «La scarsa rilevanza delle abitazioni in affitto e l’elevata percentuale di abitazioni in proprietà – ricorda l’Agenzia del Territorio nel rapporto annuale – è un fenomeno che viene considerato come tipico di Paesi ancora scarsamente industrializzati, con minore mobilità e con sistemi sociali più rigidi». Difatti in economie più avanzate le cose vanno diversamente: in Germania la quota degli affitti è al 55%, in Francia e negli Stati Uniti al 40%, nel Regno Unito al 32%. L’elevata quota di proprietari accomuna invece l’Italia a Paesi come la Spagna, il Portogallo, la Grecia. Non una gran compagnia, di questi tempi.Gli italiani in affitto, comunque, sono 4,5 milioni. Di questi un milione ha meno di trent’anni, altri 2,3 milioni hanno tra i 30 e i 50 anni e 1,2 milioni hanno più di 50 anni. Il loro problema sono i canoni. L’Agenzia del territorio ha incrociato i dati delle dichiarazioni dei redditi con quelli dei contratti di affitto: la media nazionale è un canone annuo di 5.600 euro per redditi di 12.500 euro. Per l’affittuario medio, dunque, il 45% delle entrate serve a pagare il proprietario. Una quota che sale al 48% per chi ha meno di 50 anni e al 65% per chi ne ha meno di 30. Quando due terzi del reddito se ne vanno nella casa è impossibile avere le risorse economiche per mantenere una famiglia. E lo Stato gli inquilini giovani non li aiuta. Scrive il Censis che solo l’1% degli affittuari sotto i 40 anni ha la casa in affitto da un ente pubblico, contro una media nazionale del 9,5%. Mentre solo il 7,8% dei trentenni ha un affitto a canone concordato. In Francia è il 28,7%, nel Regno Unito il 13,8%.Ecco allora da dove vengono molti dei così detti "bamboccioni", quel 30% dei trentenni italiani che non riesce a lasciare la casa dei genitori. Ed ecco perché tanti altri, soprattutto a Roma e Milano, sono costretti a coabitare con altri giovani lavoratori in appartamenti normali, che da soli però non potrebbero permettersi. Serve a dividersi le spese in questo mercato immobiliare sballato.Sembra infatti sballato il mercato immobiliare italiano, che secondo i calcoli di Scenari Immobiliari ha visto salire le quotazioni reali (cioè al netto dell’inflazione) del 42% tra il 1998 e il 2007. Secondo i ricercatori della banca d’Italia questo boom immobiliare si spiega con tre fattori: l’abbassamento dei tassi di interesse ottenuto con l’entrata nell’euro, la crescita economica del decennio pre-crisi, l’antica e vantaggiosa passione tutta italiana per la casa come investimento. Secondo Bankitalia le famiglie italiane hanno piazzato negli immobili il 60% dei loro patrimoni. Una scelta di portafoglio che ha penalizzato alternative più "sviluppiste" (i soldi che finiscono nel mattone escono dal circuito della produzione) e che ha gonfiato i prezzi fino a renderli inaccessibili per i più giovani. L’Ufficio studi di Gabetti ha calcolato che se nel 1999 servivano 7,5 anni interi di stipendio per comprare una casa in Italia, nel 2009 gli anni necessari sono diventati 12,5.Così l’aiuto dei genitori (quando possibile) è diventato un criterio obbligatorio per l’acquisto della prima casa, e papà e mamma quasi sempre sono stati chiamati a mettere la loro firma a garanzia sui mutui a trenta o quarant’anni sottoscritti dai loro figli negli anni passati. Anche questa però è ormai una rarità. L’epoca del credito facile si è (fortunatamente?) conclusa spazzando via i prestiti al 100% del valore dell’immobile. Oggi, ha confermato pochi giorni fa un’indagine di MutuiOnline, i giovani sono spesso costretti a rinunciare all’acquisto di una casa perché le banche non gli fanno credito. Più duro il risultato di uno studio di Mutui.it: su quattro clienti che chiedono un mutuo in media uno ha meno di 30 anni, ma solo il 5% delle richieste di questi giovani viene accolta dalle banche.Peccato, perché le case da noi non mancherebbero. Ne abbiamo 33 milioni, cioè 120 per 100 famiglie, secondo i numeri dell’Agenzia del territorio (con 6,5 vani in media). Ma 20 milioni sono abitazioni principali, 5 milioni sono concesse in affitto, 2 milioni non risultano dalle dichiarazioni dei redditi e 6 milioni sono catalogate come "a disposizione". Cioè sono vuote. E c’è l’abitudine di intestare le seconde case a figli che non ci abitano, una "tradizione" che lascia pensare che le abitazioni non sfruttate siano anche di più.Nelle ultime settimane gli uffici studi di Gabetti e Tecnocasa hanno confermato che però i prezzi stanno scendendo. Va avanti così da tempo: la crescita delle quotazioni si è interrotta nel 2007 e da quel momento il mercato è in crisi.Mentre circola l’ipotesi che i tecnici del ministero dell’Economia stiano studiando la possibilità di introdurre una nuova tassa sulla casa (su modello dell’Ici) ovviamente molto impopolare nell’Italia dei proprietari. I giovani che pagano di tasca loro la passione nazionale per il mattone un po’ ci sperano. Se un po’ di quelle abitazioni "a disposizione" entrassero "nella disposizione" di chi ha bisogno di viverci, magari quei 23 milioni di italiani nati dopo il 1975 si sentirebbero più a casa nel loro Paese.