Jerome Powell, presidente della Federal Reserve - Ansa
L'inflazione americana a dicembre è salita al 7%, segnando il nuovo record dal giugno del 1982. A spingere il costo della vita, ha spiegato l’ufficio statistico degli Stati Uniti, sono stati soprattutto i prezzi delle case e quelli delle auto usate. L’accelerazione dell’indice dei prezzi al consumo è stata impressionante. Prima dello scoppio della pandemia gli Stati Uniti marciavano con un’inflazione attorno al 2%. L’indice è crollato allo 0,1% a maggio 2020 per poi salire gradualmente. In estate si è riportato sopra l’1%. La scorsa primavera ha preso il volo: al 2,6% a marzo, al 5% a maggio, a ottobre ha sfondato il 6% e ora è arrivata al 7%.
In una situazione del genere era inevitabile per la Federal Reserve accorciare i tempi del ritiro delle misure di stimolo monetario che l’hanno portata a raddoppiare il suo bilancio nel giro di due anni (da 4,2 a 8,7 migliaia di miliardi di dollari). Martedì, in audizione al Senato, il presidente della banca centrale Jerome Powell ha riconosciuto che «è giunto veramente il momento di muoversi da condizioni eccezionalmente accomodanti di politica monetaria» in direzione di «condizioni più normali». Se per molto tempo l’occupazione è stato il principale obiettivo della Fed, ora che l’economia corre e il lavoro non manca la missione principale è la stabilità monetaria. Powell non ha escluso la possibilità di procedere con più aumenti dei tassi di interesse se l’inflazione non scenderà (il mercato se ne aspetta quattro quest’anno) e ha aperto all’ipotesi di avviare già nel 2022 un ridimensionamento del bilancio della banca centrale. Occorre evitare che l’alta inflazione diventi “entrenched”, ha spiegato, cioè “radicata”.
È una missione complicata. Alcuni dei fattori che hanno spinto l’inflazione si stanno indebolendo. Sembra che i colli di bottiglia del sistema produttivo si stiano ad esempio allentando. Ma a dicembre l’inflazione è salita ancora nonostante il costo dell’energia sia diminuito su base mensile dopo una lunga serie di rialzi (+29,3% in un anno). E con la disoccupazione scesa ai minimi da quasi due anni, al 3,9%, negli Stati Uniti c’è una forte pressione per l’aumento dei salari, con i lavoratori che vogliono recuperare il potere d’acquisto perduto.
La corsa dei prezzi rischia di tramutarsi in una spirale da cui è difficile uscire in maniera morbida. Lo sa bene anche la Banca centrale europea, che è più indietro di quella americana nel ritiro delle misure di stimolo.