Nel luglio di 10 anni fa le major discografiche brindavano alla chiusura forzata di Napster, il software
peer 2 peer che metteva in collegamento centinaia di migliaia di persone che si scambiavano file (quasi sempre musicali) ignorando sistematicamente le regole del copyright. Non potevano sapere, quelle prestigiose etichette, di avere vinto solo la prima battaglia di una guerra ai pirati che, da quel momento in poi, avrebbe riservato loro (e alle case cinematografiche) poche gioie. Negli anni successivi la rete è diventata sempre più veloce, aiutando la pirateria informatica a crescere quasi senza ostacoli, su piattaforme p2p come eMule, sistemi di download come i Torrent, o il semplice
streaming (anche via YouTube) di contenuti protetti.Dicono le stime che il 22% del traffico Internet globale è usato per scambiarsi illegalmente contenuti protetti dal copyright. Solo in Italia, calcola la Federazione antipirateria audiovisiva, il 37% dei navigatori nel 2010 ha scaricato illegalmente musica o film.Ora la grande guerra ai pirati informatici è arrivata allo scontro finale: i governi sono divisi tra chi progetta l’arma definitiva e chi pensa di issare invece la bandiera bianca della resa. Sul fronte dei duri ci sono Stati Uniti e Francia. L’arma parigina contro la pirateria si chiama Hadopi, sigla che sta per «Haute Autorité pour la diffusion des œuvres et la protection des droits sur internet». Questa autorità, creata nel 2009 per volontà del presidente Nicolas Sarkozy, punta a debellare i pirati con l’aiuto dei
provider che forniscono le connessioni a Internet. Il provider è obbligato per legge a monitorare il traffico dell’utente, se nota connessioni a servizi illeciti (ad esempio ai server p2p) deve comunicarlo all’Hadopi, che a quel punto si mobilita: la prima volta invia una email di avvertimento al pirata, la seconda gli spedisce una lettera, la terza gli fa sospendere la connessione per un periodo che può andare dai 2 mesi a 1 anno.Il bilancio del primo anno di attività dell’Hadopi è magro: 650 mila email ai pirati, 44 mila lettere, 60 persone passibili di blocco, nessun sospeso. I provider fanno ostruzione e i pirati si sono spostati su servizi di streaming che la legge non aveva incluso nei contenuti illeciti. Difatti ora Sarkozy vorrebbe aggiornare la norma, ma l’opposizione è forte e difficilmente nell’anno delle presidenziali ci sarà tempo per una Hadopi 3 (oggi siamo alla 2).L’arma finale degli americani si chiama invece Sopa, sigla che sta per Stop Online Piracy Act. È una legge presentata lo scorso ottobre dal repubblicano texano Lamar Smith con l’appoggio di 12 altri deputati di entrambi gli schieramenti. La Sopa dà la possibilità a chi è titolare di un diritto di copyright e lo vede violato online di esigere che il sito colpevole sia cancellato da Google e dagli altri motori di ricerca, bloccato dai provider Internet, abbandonato da ogni servizio di pagamento elettronico. Motori di ri,cerca, provider e servizi di pagamento avrebbero 5 giorni per provvedere, altrimenti partirebbe un’azione legale nei loro confronti. La strategia di Smith – apprezzata da Apple e Microsoft, criticata da Google e Facebook – mal si sposa con gli ideali di libertà alla base degli Stati Uniti. Difatti ha sollevato un’ondata di perplessità bipartisan, e le probabilità che il testo sia approvato il 15 dicembre, secondo calendario, si fanno ogni giorno più scarse.Provvedimenti così duri sono il risultato della frustrazione dei governi per anni di lotta vana alla pirateria. Le istituzioni che non cercano la linea dura studiano invece una resa onorevole. Due settimane fa, al Forum di Avignone sulla cultura digitale, Neelie Kroes, il commissario europeo all’Agenda digitale, ha messo in dubbio che la protezione del copyright sia il modo migliore per aiutare gli artisti a guadagnare dal loro lavoro.«Abbiamo bisogno di continuare a lottare contro la pirateria, ma l’applicabilità delle leggi sta diventando sempre più difficile; i milioni di dollari investiti nel tentativo di rinforzare il copyright non hanno frenato la pirateria – ha detto Kroes –. Anzi, i cittadini sentono sempre più spesso la parola copyright e odiano quello che c’è dietro. Tristemente, molti vedono l’attuale sistema come uno strumento per punire e trattenere, non per premiare». La conclusione a cui è arrivata Kroes è che si debba trovare un nuovo modo di dare agli artisti il riconoscimento economico del loro lavoro. Ma non si sa come. Il commissario per le Comunicazioni italiano, Corrado Calabrò, sta preparando una legge anti-pirateria che punta da un lato a incoraggiare la diffusione legale di contenuti sul Web e dall’altro a dissuadere i siti dal pubblicare materiale protetto dal copyright.Le case discografiche attive in Cina, invece, constatato che la pirateria rappresenta il 99% del mercato musicale nazionale, si sono adeguate: lasciano scaricare la musica gratis e cercano i soldi altrove. Hanno siglato accordi con i motori di ricerca sugli spot che accompagnano le canzoni distribuite gratis, poi fanno fare ai cantanti tournée interminabili e li usano come testimonial dei prodotti più svariati. Le ugole cinesi più popolari guadagnano meno dei loro colleghi occidentali, ma con questo sistema crescono. Piratati ma felici.