Una scia di polemiche accompagna l’aumento di un punto percentuale dell’Iva, che scatta oggi, come previsto nell’ultima manovra, passando dal 20 al 21%. Una misura che si ripercuoterà su tutti gli italiani, indipendentemente dal reddito, andando a colpire i prezzi di alcuni beni di prima necessità e deprimendo ulteriormente i consumi delle famiglie. Una posizione, questa, condivisa dalle associazioni dei consumatori e dalla Confcommercio, che teme l’effetto "scaffali vuoti".Secondo Pietro Giordano, segretario generale dell’Adiconsum, «come avvenne in occasione del passaggio dalla lira all’euro, gli arrotondamenti al rialzo operati dai commercianti sono un rischio più che concreto». Ma che cosa pagheremo effettivamente più caro? Secondo l’associazione, non dovrebbero aumentare i prezzi dei generi alimentari, che godono dell’aliquota Iva agevolata al 4% o al 10%. L’Iva passa al 21%, però, per le bibite gassate, i vini, gli spumanti e i superalcolici, oltre che per alcuni alimenti particolari come i tartufi. Rincari in vista anche per i prodotti per l’igiene personale e della casa, e per i casalinghi; costeranno di più anche le auto e i prodotti connessi, oltre ad abiti, scarpe e accessori - inclusi gli occhiali da sole - e bigiotteria, gioielli e orologi, e ancora: mobili, tappeti e tessili per la casa, elettrodomestici e telefonia, cd musicali, cartoleria, giocattoli e articoli sportivi.Il rincaro dell’Iva toccherà anche il costo di alcuni servizi: tra questi spiccano i carburanti, per i quali si configura un ulteriore rincaro dopo l’aumento delle accise, e il gas, per chi consuma più di 480 metri cubi l’anno. L’Iva viene ritoccata al 21% anche per i biglietti di cinema, teatro, concerti ed eventi sportivi; rincarano anche i servizi sportivi (palestre e piscine) e ricreativi. Costerà più caro andare dal parrucchiere, connettersi a Internet, parlare al cellulare e abbonarsi ai canali a pagamento; e saliranno anche le tariffe dei liberi professionisti (avvocati, notai, commercialisti) e degli artigiani (idraulici, imbianchini, elettricisti). Per alcuni settori, poi, è forte il rischio di aumenti ingiustificati: per l’Adiconsum si tratta di «alimentari, trasporto, forniture di materiali, servizi resi al professionista da terzi». Da parte sua, il Codacons stima che il ritocco dell’Iva potrebbe portare a un passo avanti dell’inflazione pari allo 0,64%, dato che circa la metà dei beni compresi nel paniere Istat subirà l’aumento dell’aliquota. L’associazione prevede un probabile aumento dei prezzi reali dei prodotti interessati pari all’1,38%, per una «stangata, su base annua, pari a 290 euro per una famiglia di 3 persone e a 385 per una di 4»; per questo il Codacons chiede al governo di rivedere la lista dei beni che godono di Iva agevolata, includendo anche i prodotti, come quelli per l’igiene personale, che incidono maggiormente sul bilancio delle famiglie.I commercianti temono invece una contrazione ulteriore del potere d’acquisto, e quindi dei consumi. Per l’Ufficio studi di Confcommercio l’Iva al 21% causerà un aumento dell’inflazione «tra 3 e 5 decimi di punto, che provocherà una riduzione dei consumi proporzionale all’incremento dei prezzi». Meno si consuma, minore sarà, secondo i commercianti, il gettito della misura, che potrebbe ridursi da 4,2 miliardi a 3,7-3,9. Secondo Confcommercio «l’effetto depressivo della manovra Iva potrebbe risultare molto più marcato, a causa del combinarsi degli effetti di una pluralità di provvedimenti tutti orientati nella medesima direzione: incrementare la pressione fiscale sulle famiglie e sulle imprese». E qualcuno corre già ai ripari: Crai ha deciso di accollarsi il costo della misura, bloccando i prezzi dei prodotti con il suo marchio fino alla fine dell’anno, e Benetton ha fatto sapere che non ritoccherà i listini. I benzinai aderenti a Fegica Cisl e Faib Confesercenti si sono invece rivolti al governo, chiedendo che sia l’Unione petrolifera ad assorbire l’aumento dell’Iva nel suo margine di profitto industriale. Secondo Federconsumatori e Adusbef, l’Iva al 21% costerà agli automobilisti 31 euro in più all’anno, che, sommati agli aumenti registrati da agosto 2010 sui listini, portano a una stangata totale di 471 euro annui.