La voce al telefono di Giampaolo Galli, direttore generale di Confindustria e stimato economista, cela con qualche difficoltà la preoccupazione (sua personale e delle imprese) per il momento che stiamo vivendo. Usa termini come «fase critica», «situazione grave», «credito scomparso». Questo rende ancor più urgente agire «subito» sulle pensioni, per trovare risorse necessarie per la «vera priorità in chiave crescita: la riduzione del cuneo fiscale sul lavoro». E le imprese sono pronte a «fare la loro parte», assicura Galli, tenendo al lavoro i dipendenti più in là negli anni.
Condivide l’impianto del ministro Fornero?Ritengo che sia indispensabile completare la riforma del sistema previdenziale. Lo è perché viviamo più a lungo e perché abbiamo bisogno di misure di contenimento delle spese che diano risparmi certi in una fase critica per la nostra economia. D’altronde già il governo Berlusconi aveva tentato di lavorare sui due aspetti mancanti: le pensioni d’anzianità e l’età di vecchiaia delle donne.
Non è troppo "facile" agire sempre sulle pensioni?Il peso della spesa previdenziale sul Pil è ancora di 2,5 punti più alto della media europea. Altri 2,5 punti in più li paghiamo sulla spesa per interessi per via dell’alto debito. In pratica partiamo con un
handicap di 5 punti che ci sottrae risorse preziose non solo per stimolare la crescita, ma anche per altre esigenze relative al welfare e al sostegno ai giovani.
Nella ricetta Fornero va tutto bene?La proposta che aveva fatto prima di diventare ministro e prima che la crisi divampasse era molto logica e coerente. È valido il principio del contributivo pro rata per tutti. Per il resto, dobbiamo vedere quale sarà alla fine l’età minima di pensionamento e cosa si deciderà di fare con le persone che hanno maturato i 40 anni di contributi.
La sento un po’ "freddo". O sbaglio?No. Sottolineo solo che è necessario un intervento incisivo, capace di dare un contributo al riequilibrio della finanza pubblica già dal 2012 e di incidere significativamente sul debito pubblico negli anni successivi. La proposta delle imprese si basava sulla fine immediata delle pensioni anticipate e sull’elevare a 65 anni dal 2012 l’età di vecchiaia per le donne nel settore privato. Ma siamo del tutto aperti a progetti differenti.
Da sempre Confindustria chiede la riforma della previdenza. Però le aziende sono disposte a rinunciare anche ai costosi prepensionamenti e a tenersi addetti ultra 60enni?Lo faranno. Non è nel diretto interesse delle imprese, per loro sarebbe preferibile pensionare i dipendenti prima. Ma bisogna capire che un intervento sulle pensioni è la premessa necessaria per ottenere poi misure per la crescita e una riduzione del carico fiscale. Se non lo si fa, il rischio è che la pressione fiscale diventi insopportabile.
Non si penalizza così l’occupazione giovanile?Al contrario. I giovani sono oggi i più penalizzati dall’elevata tassazione sul lavoro. Per questo della riduzione dovrà beneficiare soprattutto chi lavora e chi produce ricchezza, per favorire assunzioni a tempo indeterminato.
Torniamo ai dettagli. Si parla di incentivi per chi resta oltre i 65 anni. È d’accordo?Sì, ma bisogna tenere conto che già oggi la legge prevede che l’età di pensionamento di vecchiaia aumenti gradualmente in ragione della speranza di vita. Nel 2030 sarà a 68 anni.
Monti doveva sentire prima le parti sociali?Le sentirà domenica, e fa bene a farlo. Bisogna però che tutti si rendano conto che siamo in emergenza e che la situazione è grave. Le banche non riescono più a finanziarsi sui mercati e stanno diventando estremamente selettive nella concessione del credito. Quello a medio termine è già praticamente scomparso. E all’origine di tutto questo c’è lo
spread, che deriva da un problema di credibilità dell’Italia. Se non lo si risolve, la situazione si avvita.
È stato proposto di pagare in Bot i debiti arretrati dello Stato verso le imprese. Gli artigiani però non sembrano entusiasti.Dipende dalle caratteristiche dei titoli. Se sono negoziabili e si possono "scontare" in banca, sono una forma di liquidità.