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«La partecipazione è la più grande riforma istituzionale verso una piena democrazia sociale, cosa di cui abbiamo enormemente bisogno per raccogliere le sfide di un’economia in transizione». Il leader della Cisl lancia così la sfida per costruire “dal basso” un nuovo modello economico.
Segretario Sbarra, l’esecutivo Cisl ha deliberato ieri a Firenze la proposta di una legge di iniziativa popolare sulla partecipazione. Perché avete scelto questo tema?
È venuto il momento di concretizzare ciò che è presente nella nostra Costituzione all’articolo 46. A breve partiremo con la raccolta firme su un testo completo, solido, sostenibile e immediatamente applicabile sul coinvolgimento dei lavoratori alla gestione, ai risultati e alla organizzazione delle aziende. È una battaglia storica per la Cisl, frutto della nostra impostazione culturale e valoriale che affonda le radici anche nei riferimenti alla dottrina sociale della Chiesa. La partecipazione deve diventare un diritto fondamentale dei lavoratori, la strada per dare centralità alla persona e alla sua creatività, la leva per una nuova prospettiva di democrazia economica.
Non è una contraddizione per la Cisl, che da sempre privilegia la via contrattuale rispetto a quella legislativa, puntare su una norma?
Assolutamente no. La strada che abbiamo scelto non è quella di una imposizione legislativa, ma di un forte sostegno alla contrattazione con leve promozionali e incentivi di natura fiscale, nella convinzione che la partecipazione è possibile solo se passa dalle buone relazioni industriali. Dobbiamo estendere una cultura industriale che ha generato tante buone esperienze in tutti i settori e che può contribuire in modo fondamentale a rafforzare la crescita, i salari e la produttività, la formazione e l’innovazione di processo e prodotto, partendo dal protagonismo sociale del lavoro. Il nostro tessuto produttivo è molto eterogeneo. È auspicabile che siano il sindacato e le associazioni imprenditoriali ad individuare forme di coinvolgimento, scegliendole nel novero delle opportunità che la nostra proposta di legge vuole offrire ad ogni impresa. La partecipazione deve scaturire dal libero spazio negoziale e contrattuale; la legge può e deve agevolare questo percorso.
Quale tipo di partecipazione – organizzativa, economica, finanziaria – cercate in particolare di sostenere e promuovere?
Il primo obiettivo è quello di promuovere l’ingresso di rappresentanze dei lavoratori nei consigli di amministrazione o di sorveglianza. I lavoratori hanno il diritto di concorrere e collaborare, come indicato dai costituenti, agli indirizzi e alla gestione delle proprie aziende, al rilancio degli investimenti opponendosi alle delocalizzazioni, esercitando quelle flessibilità che nei momenti di crisi aiutano a proteggere l’occupazione e che nei momenti di crescita operano una buona distribuzione della ricchezza. Il secondo punto è regolare la compartecipazione ai risultati dell’impresa e disciplinare l’azionariato diffuso, così da dare anche ai piccoli dipendenti-azionisti adeguata rappresentanza e voce nelle scelte societarie. La terza esigenza riguarda il coinvolgimento nelle decisioni organizzative, per aumentare efficienza, adattività e innovazione di sistema. Pensiamo agli orari, alla produttività, al lavoro per obiettivi e in team. Quarto punto: riconoscere ai lavoratori e al sindacato una funzione consultiva a monte, e non a valle, delle decisioni più rilevanti per il futuro delle aziende.
Nel 2009 fu presentato un progetto di legge di promozione della partecipazione con un accordo addirittura bipartisan. Eppure il tentativo fallì. Né le forze politiche né quelle sociali sembrano volerlo mai per davvero… Oggi la prospettiva è diversa? Cgil e Uil sono in sintonia con voi su questo?
Quindici anni sono un’eternità: l’Italia non aveva ancora conosciuto gli effetti del Covid, della guerra in Europa, di una crisi energetica e di un’inflazione che corre a doppia cifra erodendo retribuzioni e risparmi di lavoratori e famiglie. Oggi penso che siamo tutti più consapevoli che dalle crisi di sistema si esce cooperando e remando tutti nella stessa direzione. Occorre fare ognuno la propria parte per promuovere la crescita della comunità nazionale nel segno della corresponsabilità. Significa mettere da parte l’antagonismo novecentesco ed imboccare il cammino di relazioni industriali responsabili e generative, che diano ai lavoratori un ruolo centrale nelle dinamiche aziendali. Ci auguriamo che anche Cgil e Uil insieme agli altri interlocutori sociali ed istituzionali vogliano unirsi in questo percorso per promuovere un’evoluzione del nostro modello di sviluppo.
Il tema della settimana lavorativa di 4 giorni è stato lanciato sia dai metalmeccanici Fim sia dalla Cgil che lo porrà tra i temi centrali dell’ormai prossimo congresso nazionale. Per la Cisl è una priorità? E come arrivarci?
Diciamo intanto che la riduzione dell’orario di lavoro è un cavallo di battaglia della Cisl da più di 40 anni. È una opportunità fortemente connessa al tema della partecipazione che va raccolta senza demagogia e nel solco della contrattazione. L’obiettivo deve essere quello di elevare e redistribuire quote di produttività trasformandole in riduzione di orario a parità di salario. Dobbiamo capitalizzare le possibilità delle nuove tecnologie e di una organizzazione del lavoro più flessibile e partecipata, connettendo il tempo libero anche programmi di formazione perpetua. Serve un patto triangolare tra sindacato, imprese e governo che stimoli gli investimenti in tecnologia e gli accordi contrattuali di secondo livello anche attraverso adeguati sostegni fiscali. Noi facciamo una proposta: partiamo con la sperimentazione costruendo un accordo quadro con le imprese per consentire, su base volontaria, la settimana di 4 giorni in 100 aziende medie e grandi. Mettiamoci tutti alla prova su questo tema al di là degli slogan.
Intanto il dialogo con il governo sembra girare a vuoto si tanti temi: dal fisco alle pensioni alle politiche attive? O no?
Indubbiamente c’è un calo di tensione. Il Governo è stato distratto da altre questioni in queste settimane. Ora i nodi stanno venendo al pettine. L’esecutivo deve dire con chiarezza se vuole o meno stabilizzare e concretizzare il dialogo con le parti sociali. L’impressione è che qualcuno remi contro, dando alibi a chi non vuole costruire buone riforme condivise. Dobbiamo rilanciare nei prossimi giorni il confronto sui temi della crescita, del contrasto all’inflazione, dell’aumento di salari e pensioni, della riforma del fisco e del sistema pensionistico, di cui non si può solo parlare sui giornali.
Questo vale anche per la riforma del Reddito di cittadinanza?
Certo. Vale anche per il contrasto alla povertà, dove è necessario aumentare le risorse e aprire il confronto con le parti sociali sui cambiamenti del Reddito di cittadinanza. Misura che va salvaguardata tanto nel sostegno alle famiglie in condizione di fragilità quanto alla componente degli occupabili, con misure effettive di politica attiva per il lavoro e la formazione.
Un’ultima domanda. Che impressione le ha fatto vedere sul palco a Firenze Landini, Conte e la Schlein?
Eviterei di cogliere la provocazione della domanda. Dico invece che è stato giusto mobilitarsi contro ogni forma di violenza, per la qualità della scuola, la difesa dei valori della Costituzione. Il sindacato confederale è sempre stato un argine alle derive illiberali e neofasciste. Continueremo ad esserlo, difendendo principi che appartengono a tutti. Valori che promuovono la partecipazione di rappresentanze sociali autonome al rafforzamento della democrazia e alla costruzione del bene comune.
Francesco Riccardi
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