venerdì 2 febbraio 2024
Prandini: «Servono più fondi, protesteremo finché l’Europa non darà le risposte che il mondo agricolo merita»
Il presidente di Coldiretti Ettore Prandini

Il presidente di Coldiretti Ettore Prandini - Ansa

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Presidente Prandini, avete portato la vostra protesta in Europa. Perché?

Il luogo giusto dove portare le istanze dei settori economici e dell’agricoltura in particolare – ci ha risposto il presidente della Coldiretti a margine della manifestazione di ieri – è Bruxelles. Da subito ho detto che ci saremmo mossi – cosa che stiamo facendo e continueremo a fare – finché l’Europa non darà le risposte che il mondo agricolo merita. Ci servono più fondi, non tagli come è successo in Germania dove hanno tagliato tre miliardi per gli agricoltori. I problemi ci sono anche da noi e ci lavoriamo sodo, come sempre, cercando di raggiungere obiettivi concreti.

Quali?

Ad esempio, noi siamo stati il primo Paese – sulla spinta della Coldiretti – a vietare la commercializzazione di prodotti fatti in laboratorio, come la carne sintetica. Ora vogliamo ottenere lo stesso risultato in Europa. Ci hanno detto che eravamo degli illusi perché nessuno ci avrebbe dato credito, invece ci sono già diciassette Paesi che hanno sottoscritto il documento con cui chiederemo più ricerca a tutela della salute dei cittadini di tutta l’Unione europea.

La Commissione propone una nuova deroga al divieto di coltivare il 4% della superficie aziendale per ricevere la Pac. Questa deroga varrà già per la Pac 2024?

Noi abbiamo chiesto la cancellazione di una scelta folle dell’era Timmermans. Siamo in attesa di vedere il testo definitivo del regolamento ma ho incontrato il Ministro per confrontarci su questo punto, su cui va fatta chiarezza: vogliamo coltivare senza vincoli. Abbiamo ottenuto la sospensione di quella misura per il 2023 a causa della guerra, ma era propedeutica alla cancellazione. Puntiamo decisamente a quella.

Una revisione della Pac era già in programma: oltre al 4% cosa chiedete?

Ci sono molte criticità da affrontare. Servono più fondi soprattutto per i giovani. E invertire la rotta sulle follie green. Partiamo dal regolamento sui prodotti fitosanitari e quello sul packaging, o sul ripristino della natura… che è una grande presa in giro: cosa ripristini senza gli agricoltori? Chi terrà puliti i fossi, chi controllerà il dissesto idrogeologico? Se la Pac è una zavorra burocratica che impedisce persino di accedere ai contributi è normale che le aree interne si spopolino, perchè gli agricoltori se non possono mantenersi con il loro lavoro debbono cercarsene un altro.

Restiamo sul tema caldissimo del Green new deal, ampiamente contestato dalla categoria agricola: il glifosato si è salvato, ma altri prodotti, come il triciclazolo, restano vietati. Il farm to work va dunque rivisto?

Penso che bisogna avere intelligenza di fare un distinguo rispetto al glifosato: per come lo usiamo noi, nella preparazione del terreno, non è un problema perchè non entra nei prodotti alimentari; ma se lo usi come in Canada per essiccare i prodotti che stanno ancora maturando, una pratica vietatissima in Europa dove i cereali li facciamo ancora maturare con il sole, bisogna fare qualcosa. L’Unione europea oggi permette di importare grano al maturato con il glifosato e questo è tradire il patto con i consumatori e fare a noi concorrenza sleale. Vale anche per tanti altri prodotti fitosanitari: se sono pericolosi per la salute è paradossale importarli.

Esiste un istituto del commercio tra l’Europa e i Paesi terzi che si chiama import tolerance e consente l’importazione di prodotti coltivati con prodotti vietati nell’Unione. E’ realistico pensare che sia abolito?

I nostri obiettivi sono due: finchè non abbiamo prodotti alternativi a quelli che si vorrebbero vietare si deve avere l’onestà di ammettere che vietarli significa non produrre più in Europa. Dobbiamo entrare nel meccanismo per cui o c’è un rischio reale - comprovato - per la salute oppure i prodotti non vanno più vietati. Sugli agrofarmaci si è fatta molta ideologia, ma sono medicine per far si che la pianta arrivi al termine della stagionalità; se non la curo il frutto non lo avrò. In secondo luogo, dobbiamo fare la pace con il concetto di sovranità: consentire importazioni che fanno concorrenza sleale significa oggi danneggiare gli agricoltori ma domani esporre i cittadini europei alle importazioni che non rispettano i nostri standard. È un problema di autosufficienza alimentare evidente a tutti.

Pensate di riuscire a fermare l’accordo con il Mercosur?

Così come pensato siamo contrari perché aiuta le importazioni avicole e non solo senza badare che nei Paesi di provenienza si usano prodotti chimici vietatissimi da noi.

Se l’Ucraina entrasse nell’Ue cosa succederebbe?

Quel percorso è ancora molto lungo, ma è chiaro che un Paese cerealicolo che ha una superficie agricola grande quattro volte quella italiana rappresenta una criticità. Anche perché in Ucraina secondo un nostro test sono utilizzati almeno sedici prodotti vietati nell’Ue. Si torna al principio della parità di condizioni di lavoro. Certamente non possono essere gli agricoltori europei a pagare, servono più fondi.

Con le proteste chiedete anche di aumentare i fondi della Pac, ma negli ultimi anni sono sempre diminuiti. Sicuri di farcela?

Proprio nell’incontro con il governo italiano uno dei temi che abbiamo posto è che le risorse comunitarie al settore primario non ricevano più tagli. Inoltre, dico che la Pac non può esser pensata sette anni prima del covid e di due guerre. Le esigenze cambiano.

Lei ritiene che la città sia solidale con la campagna?

I consumatori sono dalla nostra parte. Una cosa è l’ideologia ambientalista ma i consumatori sanno che senza aziende agricole saranno esposti al dissesto idrogeologico e dovranno mangiare frutta e verdura importata da lontano e della quale non possono sapere nulla. Questo non interessa agli ambientalisti dei salotti ma a chi fa la spesa ogni mattina interessa eccome. È ora che si inizi a parlare di questi temi con competenza e fuori dai luoghi comuni.

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