Il cicaleggio si è improvvisamente spento. Quel borbottio interrotto dal tintinnare dei bicchieri, dai cucchiaini sulle tazzine da caffè, quello speciale rumore di fondo che Atene conservava dai tempi più remoti ha lasciato il posto a un silenzio misterioso, reso ancor più spaesante del tardo sole settembrino che arroventa le piazze e le vie di Plaka, di Kolonaki, i grandi boulevard dove si affacciano le ambasciate. Ma non è il silenzio riflessivo che accompagna la fine della campagna elettorale, bensì quel sentimento che gli spagnoli chiamerebbero 'desencanto', ad indicare non la fine di un amore o di un’illusione ma l’incapacità di provare di nuovo quell’emozione. Così Atene si arrende agli ultimi barbagli di questa ennesima prova elettorale, con la convinzione netta che le elezioni di domani saranno nient’altro che un teatrale ritorno al passato. I sondaggi – solitamente ondivaghi e pochissimo affidabili come le Pizie di ogni tempo – questa volta si trovano concordi: parità aurea fra i due grandi contendenti, scarsissime possibilità che la formazione vincente si aggiudichi quel 38-40% di consensi tale da garantirle con il premio di maggioranza (un bonus di 50 seggi assegnato al primo partito) la maggioranza assoluta di 151 deputati. Accovacciata sulle macerie delle proprie divisioni interne Syriza si aggira tra il 25 e il 28%, ben lontana dal successo con cui sfiorò la maggioranza assoluta a gennaio e ancor più distante da quel plebiscitario 64% con cui i greci approvarono il referendum sull’austerità a luglio. Una scheggia del partito, l’ala più radicale capeggiata da Panagiotis Lafazanis, correrà in proprio sotto il nome di Unità Popolare (il riferimento a Unidad Popular, la coalizione che sostenne Salvador Allende dal 1970 al golpe del 1973, giurano, è «puramente intenzionale») con il rischio concreto di non superare la soglia di sbarramento del 3%. In grande rimonta invece Nea Demokratia. Congedato il leader Antonis Samaras (uscito in gran fretta dalla porta di servizio all’indomani della disfatta referendaria), il partito è ora nelle mani di Evangelos Meimarakis, sessantunenne di lungo corso, euroentusiasta e strenuo difensore del memorandum (se pure con qualche ritocco), ma soprattutto architetto del sostegno offerto Tsipras in occasione dei tre voti parlamentari che hanno sancito la resa praticamente senza condizioni del governo greco alla Troika e aperto la porta al credito di 86 miliardi. Di Tsipras, cui tende la mano e sollecita collaborazione intelligente, non cela un’opinione poco lusinghiera: «un bambinetto e un piccolo bugiardo – dice – che ha spinto il Paese verso una nuova recessione. Credo che i cittadini non vogliano più esperimenti di Syriza, non vogliono più bugie. Bisogna farla finita con gli inetti, con la menzogna. L’esperimento Syriza finisce domenica ». Parole scontate, si dirà, ma bastevoli – con il suo volto da burbero capostazione di provincia – a fare risalire la china a Nea Demokratia fino a riportarla sulla linea di galleggiamento e anzi, in un paio di sondaggi (nei quali ricompare minacciosa la svastica di Alba Dorata, data anch’essa in precipitosa ascesa) addirittura davanti a Syriza. Tsipras ha assicurato che non scenderà a patti con la destra moderata ma responsabile dello sfascio greco e della corruzione endemica dei decenni scorsi. Semmai, fa capire, cercherà un’intesa con il Pasok, che quanto a gestione disinvolta del potere (e soprattutto delle risorse finanziarie) non è seconda a nessuno. Ma questa, si capisce, è pretattica. Per questo Al Caffè Avissinia – in deroga a quel silenzio un po’ abulico della città – si fanno pronostici davanti a un bicchierino di grappa dell’Epiro cullati dalla voce malinconica di Billie Holiday. «Sapete quale sarà il nuovo grande partito? – dice Nikos, il cui fratello lavora al ministero dell’Interno – Quello dell’astensione. E se se non si mettono d’accordo si tornerà a votare per la settima volta in un anno e mezzo. E magari torna in campo Varoufakis». A tarda sera Tsipras incita la folla di Piazza Syntagma imbandierata dei colori di Syriza. «Ce la possiamo fare da soli – dice – senza la Grecia del passato e dei corrotti». Sul palco c’è anche Pablo Iglesias, leader dei Podemos spagnoli. Basterà una ventata di ottimismo per riportare l’utopia al potere?