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Quattro pretendenti internazionali in corsa per rilevare il polo siderurgico nella seconda metà del 2024 e, prima ancora, alcune questioni da risolvere: dalle tutele occupazionali alle risorse necessarie al rilancio dell’acciaieria. Saranno settimane importanti per il futuro dell’ex Ilva. L’altroieri, intanto, è arrivato il via libera della Commissione europea al prestito ponte da 320 milioni di euro (interesse annuo dell'11,6%) per l’ex Ilva oggi Acciaierie d’Italia in Amministrazione Straordinaria. Lo ha reso noto il Mimit. Intanto da Roma lavorano per vendere il siderurgico al miglior offerente.
Al momento sono quattro, appunto, i soggetti interessati agli impianti. Dopo gli indiani di Vulcan Steel, legati a Jindal, che già nel 2017 aveva provato a rilevare il siderurgico per poi essere scalzato da Arcelor Mittal, gli altri indiani di Steel Mont e gli ucraini di Metinvest, finora apparsi in pole position, mostra interesse la canadese Stelco, azienda controllata da Stelco Holdings. Nei prossimi giorni verrà organizzata la visita agli impianti, che gli altri competitor hanno già fatto. Stelco in Canada è il più grande produttore di acciaio ed opera nel settore dell’edilizia, dell’energia e dell’automotive. Nel quarto trimestre 2023 ha ottenuto ricavi per mezzo miliardo di dollari. Per nuovi possibili acquirenti restano però vecchi problemi. I sindacati dei metalmeccanici ribadiscono che gli impianti sono malmessi e ulteriormente usurati dalla mancata manutenzione degli ultimi anni. Al momento è in funzione solo l’altoforno 4 e si lavora per rimettere in carreggiata l’altoforno 1 e il 2. La produzione si attesta intorno ai 3 milioni di tonnellate annue. Poi c’è la questione cassa integrazione. La richiesta dell’azienda è di 5.200 esuberi, di cui 4.400 solo a Taranto. In pratica la metà della forza lavoro attuale. Giovedì al ministero si tornerà a trattare con i sindacati che non sembrano disposti a cedere, nonostante le dichiarazioni del ministro Adolfo Urso, che parla di ammortizzatori come situazione temporanea in attesa della ripartenza. La situazione ambientale poi merita un capitolo a sé. Si allungano i tempi per la decarbonizzazione. «Sapere che al 2030 si dovrà marciare coi soli forni elettrici è un buon viatico per stemperare i contenziosi giudiziali e collaborare positivamente col territorio. Tuttavia, ci aspettiamo dal Governo e dalla Regione Puglia che si insedi in fretta il tavolo per garantire a Taranto che quella idea industriale e le sue implicazioni occupazionali non restino sulla carta» ha commentato il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, incontrando nei giorni scorsi i tre commissari di Acciaierie d’Italia in As.
Domani saranno in audizione alla V Commissione della Regione Puglia. E arriva da parte delle associazioni ambientaliste Genitori Tarantini e Peacelink sotto forma di diffida al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin e alla direzione Valutazioni ambientali del ministero. I promotori fanno riferimento alla sentenza della Corte di Giustizia Europea che il 25 giugno scorso ha scritto che «se presenta pericoli gravi e rilevanti per l’ambiente e per la salute umana, l’esercizio dell’acciaieria Ilva dovrà essere sospeso» e che la Valutazione di Impatto sanitario, per vagliare gli effetti delle emissioni sulla salute, debba rientrare nell’iter per il rilascio dell’Aia, l’Autorizzazione Integrata Ambientale. I giudici del Lussemburgo hanno detto la loro e rimandato ogni decisione al Tribunale di Milano. Nelle ultime ore è arrivata la conferma dell’Arpa: sono le cokerie dell’ex Ilva a produrre il benzene, cancerogeno tra i più pericolosi, anche se negli ultimi anni in diminuzione, data anche la minore produzione. L’Agenzia regionale di protezione ambientale lo ha messo nero su bianco in una relazione inviata ad Ispra a fine maggio scorso. Sulla questione benzene la Procura ionica indaga e nelle scorse settimane ha acquisito documentazione con i Carabinieri del Noe.