Le nuove regole sul credito note come accordi di «Basilea 3» non stanno complicando la vita, in prospettiva, solo alle imprese tradizionali. C’è un altro vasto universo che guarda con apprensione agli effetti delle norme volute per rafforzare i patrimoni delle banche dopo la crisi finanziaria: è il settore delle organizzazioni non profit, da cui viene un allarme: «Attenzione, perché rischiamo che ci vengano chiusi i rubinetti del credito».Per il momento è solo un passaparola sotterraneo, ma la preoccupazione c’è. E viene rivolta alla Banca d’Italia, affinché adegui e riveda le istruzioni di vigilanza che riguardano le imprese sociali, avvicinandole maggiormente a quelle valide per le cosiddette «famiglie consumatrici».Il problema nasce da un equivoco di fondo: le istruzioni di vigilanza oggi in vigore prevedono nei confronti delle istituzioni non profit e delle imprese sociali lo stesso trattamento delle imprese
tout court. È la circolare 263 di Bankitalia, del 27 dicembre 2006, a stabilire infatti che a questi organismi, quando si tratta di concedere loro un finanziamento, «si applica la ponderazione del 100%», cioè, la stessa utilizzata per le aziende tradizionali, mentre alla clientela
retail, come le famiglie, si riconosce il 75%.Questo comporta che la banca debba procedere ad accantonamenti consistenti quando si trova a dover concedere credito a un ente non profit. Una situazione che verrà acuita e che rischia di peggiorare ulteriormente ora con «Basilea 3». In pratica, ci spiega con un esempio un operatore bancario, «per ogni 100 euro di prestito, la banca dovrà accantonare 2,5 euro in più rispetto a oggi». Facile intuire come, per un istituto di credito, possa diventare più problematico in futuro erogare un credito.C’è però una differenza sostanziale da annotare. Il mercato delle organizzazioni non profit appare più assimilabile a quello delle famiglie che a quello delle imprese tradizionali: numero elevato dei soggetti, spesso di dimensioni economiche molto piccole, e importi medi delle esposizioni assai ridotte: meno di 500mila euro come media totale, mentre solo il 13% dei prestiti al non profit supera tale valore e il 55% resta inferiore ai 100mila euro. Ma, soprattutto, significativi sono i dati sui crediti che finiscono in sofferenza, i quali evidenziano in modo netto la minore rischiosità delle realtà del Terzo settore: a giugno 2010 il rapporto tra sofferenze e prestiti bancari non raggiungeva il 3,5%, decisamente più vicino al poco sopra il 3% delle famiglie consumatrici piuttosto che al valore superiore al 5% delle imprese non finanziarie.Sono cifre confermate, anzi migliorate, da alcuni singoli istituti: secondo Banca Popolare Etica, il primo operatore bancario nato solo per finanziare il Terzo settore, al 31 dicembre 2010 il peso sul totale degli impieghi delle sofferenze lorde e degli incagli era pari rispettivamente a 1,29% e 2,68%, valori che diventano ancor più bassi limitatamente alle cooperative sociali.Insomma, le organizzazioni non profit sono dei clienti-modello: chiedono dei prestiti più bassi e li rimborsano con più facilità. Si tratta di un mondo variegato, al suo interno: si distinguono gli enti religiosi che, secondo gli ultimi dati ufficiali di Via Nazionale, risalenti a giugno 2010, avevano esposizioni verso le banche per 2,1 miliardi di euro (ripartiti fra 4.700 soggetti); seguono poi le cooperative sociali con 1,6 miliardi (fra 4.100 soggetti) e le altre istituzioni senza scopo di lucro con 7 miliardi divisi fra 13mila unità. Nel complesso, le esposizioni ammontano a 10,7 miliardi, pari appena allo 0,6% del mercato del credito in generale (che arriva al 2% se si sommano le cooperative non finanziarie che, però, generalmente non sono incluse nelle statistiche del non profit).Peraltro, il credito al non profit è cresciuto molto nell’ultimo decennio, secondo solo a quello delle famiglie: fatta base cento a giugno 2001, nove anni dopo è arrivato a un indice di 240, quindi è più che raddoppiato. Le banche maggiori hanno come clienti il 50% delle organizzazioni non profit, mentre un ruolo di spicco è ricoperto dalle Bcc, le banche di credito cooperativo, che da sole assorbono il 12% circa di tale clientela. Anche il costo del credito – ovvero i tassi d’interesse praticati al Terzo settore – appare in linea con la media di mercato, con la differenza di quasi un punto percentuale a favore del non profit per i finanziamenti a breve termine, dove il tasso a giugno 2010 si attestava poco sopra il 4%, e un leggero sovra-costo invece per il medio e lungo termine, che superava di poco il 3%.